Calabresi fu ucciso mentre conduceva un'indagine sul traffico di armi tra la Svizzera ed il Veneto. Uno dei primi sospettati del suo omicidio fu proprio Gianni Nardi, più volte arrestato per traffico d'armi e accertato massone appartenente a Gladio
Nell’aprile del 1991, i magistrati, mentre indagavano sui mandanti della strage alla stazione di Bologna, trovarono negli archivi di Forte Braschi, il nome di Gianni Nardi nell’elenco dei 1.915 che erano stati contattati dal Sismi per essere inseriti nella struttura di “Gladio”. Addirittura a Gianni Nardi era stata attribuita una sigla, 0565.
Nel 1993 Donatella Di Rosa, nota come Lady Golpe, affermò di aver partecipato a riunioni segrete, con l’intento di raccogliere fondi e organizzare un Colpo di Stato, con alti esponenti delle Forze Armate ma anche con Gianni Nardi. Nove giorni dopo fu riesumato in Spagna il corpo di Gianni Nardi e in pochi giorni ne fu confermata l’identità. Calabresi fu ucciso mentre conduceva un'indagine sul traffico di armi tra la Svizzera ed il Veneto. Uno dei primi sospettati del suo omicidio fu proprio Gianni Nardi, più volte arrestato per traffico d'armi e accertato massone appartenente a Gladio, il quale morì in un sospetto incidente d'auto avvenuto nell'isola di Maiorca prima che si chiarisse la sua posizione. I rapporti di Calabresi su quell'indagine non furono mai trovati. A Londra il 17 giugno 1982 la polizia scopre il cadavere di Roberto Calvi impiccato ad un’impalcatura sotto il ponte di Blackfriars. |
Omicidio Calabresi
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Calvi era in fuga dal 12 giugno e ricercato dalla polizia di tutta Europa. Si chiudeva così uno degli scandali finanziari più clamorosi di tutta la storia italiana, ma rimanevano aperti molti interrogativi: non sappiamo se si sia trattato di un suicidio o di un omicidio; e nel caso si sia trattato di un omicidio non siamo certi da chi sia stato commissionato: Dal Vaticano, legato al banchiere da legami tanto sulfurei quanto oscuri? Dalla Mafia, di cui il banco Ambrosiano gestiva i fondi? Dalla loggia P2, di cui il defunto conosceva quasi tutti i segreti? Dai servizi segreti italiani? Nell’ottobre 2005, durante un nuovo processo organizzato da Roma nel quale è implicato Licio Gelli, la Giustizia riconosce che Calvi è stato assassinato, probabilmente attraverso un accordo
Operazione Gladio ,
è il nome in codice di un'operazione promossa dalla Central Intelligence Agency, i servizi segreti civili degli Stati Uniti, e dallaNATO, per costituire varie strutture paramilitari segrete di tipo stay-behind ("stare dietro", "stare al di là delle linee"), promossa durante la guerra fredda, per contrastare un eventuale attacco delle forze del Patto di Varsavia ai Paesi dell'Europa occidentale, nonché combattere il comunismo con forme diguerra psicologica e uso della tecnica di false flag.
Il termine Gladio è utilizzato propriamente solo in riferimento alla stay-behind italiana. Il gladio era il simbolo dell'organizzazione italiana, mentre quello internazionale era la civetta. Durante la guerra fredda, quasi tutti i paesi dell'Europa occidentale crearono formazioni paramilitari, riunite nella "Stay Behind Net" sotto controllo NATO.
L'esistenza di Gladio, sospettata fin dalle rivelazioni rese nel 1984 dal membro del gruppo neofascista Avanguardia Nazionale Vincenzo Vinciguerradurante il suo processo, fu riconosciuta ufficialmente dal presidente del Consiglio italiano Giulio Andreotti il 24 ottobre 1990, che parlò di una "struttura di informazione, risposta e salvaguardia". L'esistenza della struttura tuttavia era già esplicitamente rivelata nel libro edito nel 1979 (edizione italiana1981) da William Colby La mia vita nella CIA
Operazione Gladio ,
è il nome in codice di un'operazione promossa dalla Central Intelligence Agency, i servizi segreti civili degli Stati Uniti, e dallaNATO, per costituire varie strutture paramilitari segrete di tipo stay-behind ("stare dietro", "stare al di là delle linee"), promossa durante la guerra fredda, per contrastare un eventuale attacco delle forze del Patto di Varsavia ai Paesi dell'Europa occidentale, nonché combattere il comunismo con forme diguerra psicologica e uso della tecnica di false flag.
Il termine Gladio è utilizzato propriamente solo in riferimento alla stay-behind italiana. Il gladio era il simbolo dell'organizzazione italiana, mentre quello internazionale era la civetta. Durante la guerra fredda, quasi tutti i paesi dell'Europa occidentale crearono formazioni paramilitari, riunite nella "Stay Behind Net" sotto controllo NATO.
L'esistenza di Gladio, sospettata fin dalle rivelazioni rese nel 1984 dal membro del gruppo neofascista Avanguardia Nazionale Vincenzo Vinciguerradurante il suo processo, fu riconosciuta ufficialmente dal presidente del Consiglio italiano Giulio Andreotti il 24 ottobre 1990, che parlò di una "struttura di informazione, risposta e salvaguardia". L'esistenza della struttura tuttavia era già esplicitamente rivelata nel libro edito nel 1979 (edizione italiana1981) da William Colby La mia vita nella CIA
Terrorismo in Europa occidentale: Operazione Gladio in Italia - Terrorism in Western Europe: Operation GLADIO in Italy
- simile tattica adottata oggi dai governi Europei ed USA -
- simile tattica adottata oggi dai governi Europei ed USA -
Vincenzo Vinciguerra Intervista - sulle stragi.
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ROMA - Donatella, quante parole. Parla, parla, lady Golpe, non si sottrae. "Ascoltate la mia sconvolgete storia: armi, carcere e terrorismo nero". Ascoltate, ascoltate. 144-116119: ecco la chat-line della vera o presunta Mata Hari di Udine. Chi è interessato allo spionaggio casareccio può telefonare. Ma attenzione: questa volta Donatella Di Rosa non si spoglia. Nemmeno a parole. Se qualcuno sperava, dopo le foto a seno nudo apparse su Playboy, in una conversazione un po' spinta, cambi linea. Perchè al telefono Donatella Di Rosa, la giovane signora dagli occhi grandi che con le sue rivelazione su un presunto golpe è diventata un caso nazionale, ha voglia di parlare solo delle sue avventure-disavventure giudiziarie. Dunque niente segreti sui suoi due mariti, sui vari, veri o presunti innamorati, sulle sue vicende di soldi, passioni, bugie e debiti. Niente pettegolezzi rosa insomma. Componendo questo 144 si apprende in che modo Donatella Di Rosa, 35 anni, inquieta moglie del tenente colonnello Aldo Michittu, sia venuta a conoscenza degli ambigui traffici, così lei dice, del suo amico-amante il generale Franco Monticone, il quale come prima risposta ha già chiesto l' arresto della sua ex fiamma. Il generale, sempre secondo la ricostruzione di lady Golpe, sarebbe stato implicato nell' organizzazione di un tentativo di colpo di stato e in un import-export di armi. Un affare a cui avrebbe preso parte anche il terrorista nero Gianni Nardi, già dato per morto nel 1976, ma che Donatella giura di aver visto di recente. Insomma una miscela di vicende private e intrighi pubblici che hanno fatto finire la Di Rosa e il suo consorte in carcere (per le affermazioni su Gianni Nardi) con l' imputazione di calunnia a scopo eversivo. E il 5 ottobre Donatella e Aldo Michittu dovranno rispondere davanti al tribunale di Firenze dell' accusa di tentata truffa ed estorsione ai danni del generale Monticone. Perchè gran parte di questa storia gira proprio attorno all' aitante generale, sospeso nel turbine dell' affaire Di Rosa dall' incarico di comandante della Forza di intervento rapido. Nella sua conversazione sotto forma di intervista, Donatella Di Rosa rilancia le accuse nei confronti dell' ex amante ("eravamo solo amici - dice però adesso lady Golpe - mi voleva a tutti i costi, ma io non ho mai avuto un rapporto sessuale con lui") e il generale Monticone passa al contrattacco chiedendo le manette per la Mata Hari di Udine, e la sospensione del servizio telefonico. Con voce leggermente squillante, Donatella di Rosa si racconta al 144. Ricostruisce quell' "amicizia particolare" che la legava a Franco Monticone. "Ogni tanto mi portava un peluche in regalo. Solo una volta un anello d' oro". Un' amicizia tenuta nascosta ad Aldo Michittu, che pure con Monticone era in gran confidenza. "Tra me e il generale non c' era nulla, ma questo piccolo segreto era per noi un gioco, null' altro. Anche se in questo "null' altro" c' è un rapporto che cresce di intensità ("veniva spessissimo a casa nostra, a volte addirittura mi aiutava a lavare i piatti") tanto che Donatella comincia ad accompagnare Monticone in diverse situazioni ufficiali e non. Cioè a quelle riunioni in cui il generale e altri alti ufficiali dell' esercito avrebbero architettato un colpo di stato. "Monticone mi spiegò che stava progettando un piano destinato a cambiare le cose in Italia. A casa sua vidi una cassapanca piena di kalashnikov. Ad un incontro - insiste nonostante le secche smentite - partecipò anche il generale Canino. E una volta venne Gianni Nardi". "Le armi - sussurra al 144 Donatella Di Rosa, che aveva già raccontato gran parte di queste cose nel suo libro-biografia La scatola nera - dovevano servire a creare una situazione destabilizzante e finivano nelle mani di personaggi legati alla malavita, alla mafia, ai servizi deviati". Ma è solo quando si arriva al punto 4 della conversazione, che Donatella Di Rosa apre il capitolo Gianni Nardi. Donatella ribadisce che il terrorista nero, ben lungi dall' essere morto, sarebbe vivo e implicato insieme agli alti ufficiali dell' esercito nel traffico d' armi. Sostiene, la Di Rosa, di aver più volte incontrato Nardi, di averlo addirittura opsitato a casa. Lady Golpe ricorda ancora che Aldo Michittu, suo attuale marito era stato per lungo tempo l' amante di Cecilia Amodio, madre di Gianni Nardi. Il cerchio si chiude? Assolutamente no. I magistrati non hanno creduto a Mata Hari. Nei prossimi giorni il giudice per le indagini preliminari di Firenze Giuseppe Soresina riunirà i periti incaricati di compiere gli accertamenti sulla salma di Gianni Nardi riesumata a Palma di Maiorca e ritenuta quella del terrorista nero. Donatella Di Rosa comunque non s' arrende. E nell' attesa di trasformare il suo libro in un film, si rivolge all' avvocato di Monticone. "Perchè non ha chiesto il ritiro del mio libro, visto che gli argomenti della chat-line sono gli stessi riportati ne La scatola nera?". E appellandosi alla regola del tutti per uno, uno per tutti, chiama in causa l' interprete, il regista e il produttore della chat-line, affermando che "se di reato si tratta, c' è anche una associazione a delinquere".
17 ottobre 1993
MA GIANNI NARDI E' VIVO O MORTO? DOMANI L' ULTIMA PAROLA DA MAIORCA MADRID - Almeno una salma c' era dentro quella bara che ieri, a richiesta delle autorità giudiziarie italiane, è stata riesumata nel cimitero di Campos, un paesino che sorge a trenta chilometri da Palma di Maiorca. Il cimitero qui sotto - Camí Cementerio, 31 Campos, Illes Balears, Spagna C' era chi, infatti, sospettava il contrario. Se si tratti o meno del cadavere di Gianni Nardi, il terrorista nero morto lì vicino in un incidente stradale nel 1976, ma che Donatella Di Rosa assicura essere ancora vivo, si saprà solo nel pomeriggio di domani e cioè quando si concluderanno gli accertamenti sul volto e sulle impronte digitali del corpo che verranno fatte dai periti legali spagnoli e dagli esperti della polizia italiana arrivati ieri nell' isola. Ma un dato pare ormai confermato: il cadavere, imbalsamato diciassette anni fa su richiesta della madre di Gianni Nardi, è ancora riconoscibile. Lo ha detto il giudice spagnolo responsabile della riesumazione ed anche uno degli addetti cimiteriali che ha potuto vedere da vicino il corpo. D' altro canto, il camionista che il 10 settembre 1976 investì la 127 del terrorista ha riconosciuto, senza ombra di dubbi in Gianni Nardi l' uomo che si trovava a bordo dell' auto travolta dal suo veicolo. "Il morto era quello lì, ' el rubio' (il biondo)", ha detto ad un giornalista che gli ha mostrato una fotografia del neofascista. "La salma si trova in condizioni buone per il lavoro di identificazione" ha detto il magistrato Jose Luis Felis, capo della Procura di Manacor alla quale appartiene il municipio di Campos, di settemila abitanti. "Pur privo di capelli, il cadavere è ancora riconoscibile" ha aggiunto un operatore del cimitero ai giornalisti che da lontano hanno seguito l' operazione. La Guardia Civil spagnola aveva tenuto tutti a distanza, formando un cordone ad una settantina di metri dalla tomba e sgomberando la zona. La semplice lapide grigia, sulla quale c' è scritto solamente Gianni Nardi 11/4/1946 - 10/9/1976, è stata rimossa alle 12,40 del pomeriggio di sabato. La polizia mortuaria e alcuni agenti della Guardia civile hanno scavato la terra, tirando fuori la bara di colore marrone scuro, non particolarmente logorata. Quattro agenti della Digos, guidati dal dirigente di Firenze, Vincenzo Indolfi, hanno seguito le operazioni. C' era anche il vice console della Repubblica italiana, Carlo Montaldo. E' stato tolto il coperchio. La salma è stata trovata coperta di polvere di zinco, il preparato chimico che ha completato l' opera di imbalsamazione praticata nel 1976. Una volta ripulito il corpo, il giudice ha potuto capire che il riconoscimento è possibile. La bara è stata richiusa, poi è stata messa in un furgoncino e portata all' istituto anatomico forense, l' istituto di medicina legale del capoluogo dell' isola, Palma di Maiorca, dove è giunto alle 14,30. Poco dopo gli addetti al macabro incarico - il giudice Felis, il medico forense locale, gli uomini della Digos - hanno abbandonato l' istituto. "La salma resta qui, isolata in una stanza" ha confermato un perito legale. Gli accertamenti definitivi verranno fatti oggi e domani. Tutto a Palma di Maiorca: le voci su un eventuale trasferimento sia a Madrid che in Italia sono state totalmente smentite. Primo perché nell' isola ci sono i mezzi necessari per fare il riconoscimento (che, date le circostanze, si limiterà al controllo delle fattezze del cadavere sulla base delle fotografie del Nardi vivo e, soprattutto delle sue impronte digitali). Secondo perché la procedura legale imprescindibile per un trasferimento della salma in Italia durerebbe settimane. E poi sembra ormai che tutta la vicenda sia molto più semplice di quanto le aspettative createsi intorno ad essa avessero suggerito. Infatti non pare proprio che il modo più adeguato per cancellare le tracce di un Nardi ancora vivo fosse quello di lasciare a Campos un cadavere imbalsamato che diciassette anni dopo risulta essere facilmente riconoscibile, ponendo in mano alla polizia e ai giudici un dato che, nel caso in cui la salma non fosse quella del neofascista, confermerebbe indubbiamente che quel corpo che il 10 settembre 1976, portando in tasca i documenti del boliviano Arnaldo Costa Vina, fu trovato tra i rottami della 127 non era quello del "bombarolo" nero. Sarebbe una pista troppo evidente. Resta l' incognita sul perché la famiglia non reimpatriò il cadavere in Italia benché avesse ordinato l' imbalsamazione. La sorella di Nardi ha ieri protestato per non essere stata informata della riesumazione: "Credo che sarebbe stato doveroso farlo. Comunque non abbiamo dubbi sul fatto che mio fratello è morto. All' epoca era stato riconosciuto dal nostro avvocato Fabio Dean e dal cugino Emanuele Nardi". La madre del neofascista, Cecilia Amadio, è arrivata a Campos una settimana dopo la morte del figlio. Ed ha chiesto la riesumazione della salma, allora seppellita in una fossa comune. Voleva portarla in Italia e perciò lo ha fatto imbalsamare. Alla fine vi ha rinunciato. Ha acquistato una tomba e vi ha messo sopra quella scritta. Qualche giorno dopo il cadavere è stato nuovamente riesumato: questa volta a richiesta della polizia italiana che, accompagnata dai colleghi spagnoli, ha fatto alcuni accertamenti sul cadavere. Fino a ieri, nessuno aveva più toccato quella tomba.
22 ottobre 1993
DIETRO IL MISTERO DI NARDI GLI 007 DI TRE NAZIONI DIETRO la morte e la "resurrezione" di Gianni Nardi c' è la mano dei servizi segreti di almeno tre paesi. Oltre all' Italia e alla Spagna, anche la Germania. Gli 007 tedeschi sono da tempo sulle tracce di Gudrun Kiess, la fidanzata di Nardi, che era con lui e col neofascista Luciano Bruno Stefàno, anch' egli riparato in Spagna, a Torremolinos, quando il bombarolo nero venne arrestato nel ' 72 al valico italo-svizzero di Brogeda su una Mercedes carica di armi. I giudici spagnoli e italiani hanno deciso di vederci chiaro sul ruolo giocato dai servizi in questa vicenda, ed hanno aperto due inchieste. Il giudice di Firenze Pier Luigi Vigna si occupa delle segnalazioni degli agenti italiani, e della Mata Hari di Udine, che dicevano che Nardi era ancora vivo. Quello di Manacor, Josè Luis Felis Garcia, del giallo delle impronte digitali prese a Nardi al momento della morte e poi sparite dal fascicolo n. 356 della polizia spagnola, intestato al bombarolo nero. Gli spagnoli indagano anche sulle attività di Nardi e di altri neofascisti italiani in Spagna nel ' 76, tra cui Elio Massagrande. Solo dieci anni dopo infatti la Spagna concesse l' estradizione in Italia per un folto gruppo di neofascisti italiani. Tra questi, una quindicina, c' erano personaggi come Carlo Cicuttini, quello della strage di Peteano, Clemente Graziani, Augusto Cauchi, e lo stesso Stefàno. E' questo il nuovo fronte delle indagini, dopo che è stato ufficialmente chiuso quello sul riconoscimento dell' uomo morto nel ' 76 in un incidente stradale sulla "carretera" per Santanyì. "Quel morto è Nardi, non c' è alcun dubbio" dice la polizia nazionale spagnola. "Non ci sono sorprese" conferma la polizia scientifica di Palma. "Il caso Nardi, per quanto riguarda il riconoscimento in Spagna, è chiuso" dicono gli inquirenti italiani. Ieri pomeriggio il capo della Digos di Firenze Vincenzo Indolfi si è incontrato nella città toscana con i giudici Vigna e Fleury ai quali ha portato i risultati della missione nelle Baleari: 22 punti di contatto sull' indice della mano destra (uno in più rispetto alle prime notizie ufficiose) tra le impronte di Nardi vivo e quelle del cadavere di Campos. "Non ci sono più dubbi, Nardi è morto in Spagna - dice Vigna - 22 punti di identità danno un giudizio di certezza". Resta da chiarire perchè i servizi si siano dati da fare per far credere che Nardi fosse vivo. Anche con segnalazioni attendibili da Milano e da Roma. Come quella di un maresciallo che l' aveva conosciuto bene, e che racconta di averlo incontrato per strada, in una città del Veneto, di averlo riconosciuto e chiamato per nome. Nardi si sarebbe perfino voltato. Uno stillicidio di depistaggi. L' ultimo è di ieri: un uomo ha telefonato alla redazione milanese de "la Repubblica" per ribadire che Nardi è ancora vivo, che le impronte sono false, che probabilmente è vivo anche Antonio Maino, il compagno di Alba Nardi, la sorella di Gianni, morto anche lui a Palma di Maiorca in circostanze misteriose. Un tentativo di farli credere ancora vivi, forse per attribuire loro attentati fatti da altri. Al contrario, se fosse stata provata la finta morte di Nardi, si sarebbe potuto pensare che li avevano fatti credere morti per poter continuare ad "usarli" per scopi terroristici. Ma Nardi è morto sul serio. Ne sono convinti, oltre agli spagnoli, anche il capo della Digos di Firenze Vincenzo Indolfi e il dirigente dell' Interpol Enzo Portaccio, partiti dalla Spagna con il dossier sul cadavere che contiene, oltre agli esami, anche una serie di accertamenti compiuti dalla polizia spagnola, tra cui gli interrogatori di numerosi testimoni dell' epoca. "Bastano le impronte. Sono sufficienti per stabilire che si tratta di Nardi, altri esami non servono" dicono gli inquirenti italiani. Qualcuno sospetta che siano false le impronte con le quali sono state confrontate quelle prese al cadavere. "Non scherziamo - rispondono gli investigatori italiani - si tratta delle impronte prese a Nardi il 21-9-' 72, dopo l' arresto di Brogeda. E sono sicuramente autentiche". Non bastasse, gli italiani hanno anche le impronte di Nardi, le sue radiografie e la documentazione clinica di quando faceva il paracadutista alla Folgore. Le avevano sequestrate parecchio tempo fa, quando arrivarono le prime segnalazioni sul fatto che sarebbe stato ancora vivo. Ora chiederanno ai giudici spagnoli, per rogatoria, anche il fascicolo sull' incidente in cui il neofascista, inseguito dalla polizia, trovò la morte. I poliziotti spagnoli hanno raccolto, in questi giorni, numerose testimonianze che coincidono. Come quella di Gabriel Adrover, vicino di casa di Gianni Nardi, nella baia di Cala Figuera. "Passavo per quella strada al momento dell' incidente - ha raccontato - l' ho visto dentro la macchina. Era lui, ne sono sicuro. Sono sicuro che era morto". "E' sempre stato molto chiaro che il morto era Nardi" aggiunge Diego Munoz, amico intimo della sorella Alba, che ora vive a Malaga. Un' altra testimonianza è quella di LLorenc Llobera, impresario di pompe funebri ad Inca, che ricorda di aver incontrato Cecilia Amadio sull' isola, per il riconoscimento del figlio, pochi giorni dopo la morte. La donna ha confermato il viaggio a Palma ma ha detto di non aver assistito al riconoscimento perchè non se la sentiva. La madre di Nardi era a Campos anche sabato scorso, al momento dell' esumazione, ma anche stavolta non ha voluto vedere il figlio. E' rimasta in disparte, fuori del cimitero dove Gianni Nardi presto farà ritorno. 17 ottobre 1993
" quel corpo e' ancora intatto " il giudice di Manacor ha fatto eseguire la riesumazione della salma di Nardi Gianni. domani all' istituto di medicina legale il confronto su impronte e fotografie. restano alcuni interrogativi. la testimonianza della donna che gli affitto' una casa. la famiglia. madre e sorella sconcertate: " nessuno ci ha detto nulla " . l' intervista. il camionista: " mori' inseguito dalla polizia " ------------------------ PUBBLICATO ---------------------- TITOLO: "Quel corpo e' ancora intatto" Restano alcuni interrogativi: perche' non ci fu autopsia nel ' 76? La testimonianza della donna che affitto' una casa al giovane: diceva di essere boliviano, ma parlava perfettamente italiano La perizia sulla salma cancellera' i dubbi sulla fine del terrorista - DAL NOSTRO INVIATO MAIORCA . Come la bara di legno nero scoperchiata sotto il sole del cimitero di Campos, nell' isola di Maiorca, il "caso Nardi" e' ufficialmente riaperto: la morte presunta del terrorista nero e l' identita' del cadavere seppellito da 17 anni non sono piu' soltanto gli ingrendienti di un giallo macabro, ma oggetto dell' inchiesta, avviata dalla magistratura spagnola in collaborazione con le autorita' italiane. E la conferma o meno della morte e dell' identita' di Gianni Nardi diventa indirettamente la chiave dell' attendibilita' e di lettura del presunto golpe denunciato da Donatella Di Rosa, l' unica a sostenere che Nardi e' vivo. Alle 13 di ieri, il giudice di Manacor, Jose' Luis Felis, ha ordinato la riesumazione del cadavere, presenti il console italiano Carlo Montaldo e quattro funzionari dell' Interpol giunti appositamente da Roma. Piu' tardi e' arrivato a Palma anche il dirigente della Digos di Firenze, Vincenzo Indolfi. Dalla testimonianza dell' impiegato delle pompe funebri, Gabriel Masquida, sappiamo che il cadavere e' in buone condizioni, essendo stato a suo tempo imbalsamato. E' una dichiarazione inevitabilmente macabra ma che puo' chiarire un passaggio fondamentale della vicenda: se si tratta di Nardi, per i periti dovrebbe essere facile stabilirlo. Domani all' istituto di medicina legale di Palma, la perizia sul cadavere verra' confrontata con la documentazione su Gianni Nardi (fotografie, impronte digitali) che il magistrato di Maiorca ha richiesto alle nostre autorita' . Dice Masquida: "Sono stati sollevati il lenzuolo bianco e il telo di plastica e abbiamo scostato la segatura che, con il solfato, viene utilizzata per preservare i corpi. Le mani sono intatte e anche il volto e' in buone condizioni". Masquida ricorda perfettamente anche le due successive riesumazioni di 17 anni fa. La prima, quando il cadavere venne estratto dalla fossa comune per l' imbalsamazione e la seconda quando arrivarono i familiari e gli inquirenti per il riconoscimento. "C' erano due signore, madre e figlia, che pagarono piu' di duecentomila pesetas per la cassa". Il giudice di Manacor precisa: "E' stata una mia iniziativa per chiarire questo caso internazionale. L' Interpol italiana mi ha chiesto di essere presente. Adesso aspetto i documenti dall' Italia e quindi faremo una perizia che spero definitiva". In attesa che la parola passi ai medici legali, tutta la vicenda resta costellata da incongruenze, contraddizioni e nuove rivelazioni su quanto avvenne sull' isola durante l' estate del ' 76. Si e' saputo che il medico legale, Enrique Llopis, non decise l' autopsia e si limito' a constatare la morte per trauma cranico. Il giudice di Manacor ha inoltre confermato che il dossier sull' inchiesta condotta all' epoca per arrivare al riconoscimento e' molto scarno e lacunoso. Infine non si comprende che fine abbia fatto lo scambio di documentazioni e di corrispondenza intercorso allora fra le autorita' spagnole e quelle italiane. Tra l' altro, negli archivi della polizia di Palma non c' e' traccia di Gianni Nardi. Sembra invece ormai assodata la presenza, sotto falso nome, di Gianni Nardi e di alcuni suoi amici sull' isola durante l' estate del ' 76. Pilar Moreno, proprietaria di un villino a Cala Figuera, ha confermato di aver affittato un suo appartamento di tre stanze a un giovane che si era presentato come boliviano ma che parlava un buon italiano. Dalle foto, le sembra di riconoscere Gianni Nardi. La donna ricorda fra l' altro l' attrezzatura da sub e la vettura utilizzata dal giovane, una Fiat 127 rossa, la stessa auto dell' incidente avvenuto il 10 settembre di quell' anno. Pilar Moreno ha anche aggiunto che, in compagnia del Nardi "boliviano", c' era una ragazza, "forse tedesca". E' un indizio che riporta indietro nel tempo e ad altre congetture. Gianni Nardi venne arrestato nel settembre del ' 72 al valico svizzero di Brogeda. Con lui, a bordo di una Mercedes carica di armi ed esplosivi, si trovavano la tedesca Gudrun Kiess e l' amico Luciano Bruno Stefa' no. Rimessi in liberta' , la Kiess e Stefa' no vennero successivamente fermati dalla polizia spagnola a Malaga. Dopodiche' , di loro, si perse ogni traccia. Erano loro i giovani in compagnia di Nardi? Piu' nitida e ricca di particolari, la testimonianza delle sorelle Angela e Antonia Ferrer, proprietarie del ristorante "La Marina", affacciato sul mare di Cala Figuera. Le due donne riconoscono con certezza Gianni Nardi dalle fotografie e ricordano la presenza quasi fissa del giovane nel loro locale: "Diceva di essere sudamericano, ma parlava italiano coi suoi amici: due ragazzi e una ragazza. Ci disse di aver vissuto a lungo in Italia. Telefonava spesso, sempre in Italia. Di certo parlava con la madre. Era sempre cordiale e gentile, anche se nell' auto teneva una pistola". In questi giorni, a Palma, girano altre notizie poco controllabili ma non trascurabili. Si parla insistentemente di un altro giovane, tale Luciano, morto annegato durante un' immersione proprio a Cala Figuera. E un tassista, volutamente rimasto nell' anonimato, ha raccontato a un giornale dell' isola di aver accompagnato due donne italiane al cimitero di Campos. Di certo, il gruppo di Nardi, ormai allo sbando dopo il conflitto a fuoco con i carabinieri a Pian del Rascino (primavera del ' 74), in cui rimase ucciso il suo amico e capo Giancarlo Esposti, cercava all' estero un rifugio sicuro e probabilmente protezione negli ambienti dell' Internazionale nera. In Italia, i gruppi neofascisti erano falcidiati dagli arresti ed erano diventati un peso morto per i servizi segreti deviati che li avevano prima coperti e utilizzati. ----------------------- PUBBLICATO ----------------------- TITOLO: Il camionista: "Mori' inseguito dalla polizia" L' INTERVISTA DAL NOSTRO INVIATO SINEU (Maiorca) . Venerdi' 10 settembre 1976, le 5 del pomeriggio. Una Fiat 127 rossa, targata Vicenza 323885, si schianta contro un camion alla periferia di Campos, nell' imboccare quella che nell' isola chiamano la "curva della morte". A bordo, esanime, un giovane boliviano, Arnaldo Costa Vinas, poi identificato per il terrorista nero Gianni Nardi. Il resto e' storia di questi giorni. Ma come andarono davvero le cose? Jose' Esteva Ferriol, il camionista, e' un testimone eccezionale che, finora, nessuno si e' preoccupato d' interrogare. E' l' ultima persona ad aver visto quel corpo prima che cominciasse il calvario di sepolture, perizie, riesumazioni e interrogativi sull' identita' del giovane proseguito fino ad oggi. E' il testimone diretto dell' incidente. E' l' unico che, ancora oggi, di fronte alla fotografia di Gianni Nardi, giura sulla sua identita' . Nei giorni scorsi si era mostrato perplesso davanti alle foto pubblicate sui giornali. Oggi, di fronte all' originale, dice: "Non ho dubbi. Il cadavere non era sfigurato. Non c' erano tracce di sangue. Sembrava che dormisse. Faceva ancora chiaro e mi inginocchiai su di lui mentre arrivava la polizia". E ora, nella sua casa, a Sineu, ricorda altri particolari di quel pomeriggio che, mentre diradano un po' di nebbia sull' identita' del terrorista ne aggiungono molta sull' intera vicenda. Ricorda, Jose' Ferriol, che la Fiat 127 viaggiava ad alta velocita' perche' "inseguita da due motociclette della polizia". Ricorda, Jose' Ferriol, che i poliziotti, quando perquisirono la vettura, trovarono diversi documenti d' identita' : "Cinque o sei. Nessuno pero' mi venne mostrato". Soprattutto, Jose' Ferriol ricorda che cosa gli venne detto poche ore dopo negli uffici del tribunale di Manacor: "Bravo, riceverai una ricompensa, perche' con questo incidente hai aiutato la polizia ad arrestare un terrorista dell' Eta". Dunque, se Ferriol e' credibile, quel giovane sulla Fiat 127 rossa . fosse Gianni Nardi o no . era seguito dalla polizia spagnola, forse segnalato. "Lo ricordo benissimo. Non arrivarono perche' richiamati da qualcuno dopo l' incidente. Stavano proprio inseguendo quell' auto". Se Ferriol e' credibile, la versione ufficiale dell' incidente e del riconoscimento e' da rivedere. Basti ricordare che la polizia ha sempre parlato di un normale incidente e mai di un inseguimento e che, inizialmente, si parlo' persino di due persone a bordo dell' auto. Ma, dopo l' incidente, il camionista venne dimenticato. "Un anno dopo, il tribunale di Manacor mi mando' a chiamare per il risarcimento dei danni. Una pratica molto lunga perche' la vettura del giovane risultava rubata. Mi diedero circa centomila pesetas. Poi non ho saputo piu' nulla". ------------------------ PUBBLICATO ---------------------- TITOLO: Madre e sorella sconcertate "Nessuno ci ha detto nulla" LA FAMIGLIA VICENZA . E' stata accolta con sconcerto e malumore dai familiari di Gianni Nardi la notizia della riesumazione del cadavere sepolto nell' isola di Maiorca con il nome dell' estremista di destra. Ci sono amarezza e sconcerto nella voce di Cecilia Amodio, madre del "bombardiere nero", raggiunta per telefono nella villa di Arcugnano, nel Vicentino, in cui vive con una figlia: "Noi non siamo stati informati da nessuno. Le autorita' italiane hanno fatto tutto alla chetichella. Ribadisco, nessuno ci ha detto niente, nessuno ci ha telefonato per metterci al corrente dell' iniziativa". E non vuole aggiungere altri commenti. La figlia, sempre al telefono, dice: "Io credo che, da parte delle autorita' , sarebbe stato doveroso informarci del fatto che la salma sarebbe stata riesumata. Invece lo abbiamo saputo dai giornalisti. E' ovvio che non abbiamo dubbi sul fatto che mio fratello e' morto. All' epoca, il cadavere di Gianni era stato riconosciuto dal nostro avvocato, Fabio Dean, e da un nostro cugino, Emanuele Nardi. Se ci fossero stati dubbi allora e' credibile che non sarebbero stati fatti ulteriori accertamenti?". La sorella di Nardi, sempre riguardo alle notizie di un riconoscimento sommario del corpo all' epoca del decesso (1976), ha affermato che 17 anni fa, nel cimitero di Manacor, "erano presenti sia la polizia spagnola sia quella italiana e che per l' identificazione furono prese le impronte digitali e vennero fatte alcune foto al cadavere". |
19 ottobre 1993
Nardi, l' impronta svela il mistero sufficienti le coincidenze positive, pero' i magistrati vogliono nuovi accertamenti. il giudice Felis " risposta finale da Madrid entro 3 giorni " . il parere del professor Antonio Fornari esperto di medicina legale: " per me e' un esame impossibile " . il commento della " mata hari " Di Rosa Donatella dopo il duro colpo alla sua credibilita' " gioco duro, ma per tutti. e quella perizia non vale " . il generale Monticone Franco: " e' solo una storia di truffa. golpe? sarebbe un autogol " ------------------------PUBBLICATO ----------------------- Dopo i primi riscontri del perito non ancora provata l' identita' dell' uomo sepolto nel ' 76 a Maiorca; i dubbi sulla statura TITOLO: Nardi, l' impronta svela il mistero Il giudice Felis "Risposta finale da Madrid entro tre giorni" Sufficienti le coincidenze positive, pero' i magistrati vogliono nuovi accertamenti DAL NOSTRO INVIATO MAIORCA . Un riscontro scientifico, un freddo dato di laboratorio su un minuscolo brandello di pelle, sgonfia il clamore del presunto "golpe" e scioglie, forse definitivamente, il mistero di Gianni Nardi. L' impronta dell' indice della mano destra, prelevata dal cadavere riesumato sabato dal cimitero di Campos coincide in 21 punti con le impronte prese a Gianni Nardi all' epoca del servizio militare nei para' e, nel ' 72, quando fu arrestato per la prima volta al valico svizzero di Brogeda. La notizia di questo riscontro positivo . di norma, gia' 18 punti di coincidenza sono considerati una prova molto attendibile . e' stata data dal procuratore della Repubblica di Firenze, Pier Luigi Vigna, che segue l' evolversi dell' inchiesta spagnola in relazione alle indagini sul presunto golpe innescate da Donatella Di Rosa. I tecnici spagnoli sono riusciti a prelevare le impronte dal cadavere imbalsamato e hanno fatto i riscontri con il dossier su Gianni Nardi portato dall' Italia dai funzionari dell' Interpol, i quali, con il dirigente della Digos di Firenze, Vincenzo Indolfi, hanno nel frattempo avviato, in collaborazione con gli inquirenti spagnoli, un' ampia ricognizione per ricostruire tutta la vicenda: l' arrivo e il soggiorno di Gianni Nardi nell' estate ' 76, le modalita' dell' incidente automobilistico in cui il neofascista perse la vita e l' insieme di testimonianze ed episodi contraddittori che hanno dato origine al mistero e alle illazioni sulla presunta morte e sull' identita' . E' una conclusione definitiva e sufficiente? Jose' Luis Felis, il giudice istruttore di Manacor che conduce l' inchiesta, preferisce la cautela. Non rivela i primi positivi risultati di laboratorio e si limita a dichiarare che gli esami e i riscontri devono essere completati: "E' un lavoro complesso, date le condizioni del cadavere. Ci vorranno ancora due o tre giorni e, se necessario, si faranno ulteriori accertamenti con l' ausilio del centro altamente specializzato di Madrid". In sostanza, sembra dire il giudice, il "caso Nardi" ha riservato troppe sorprese per essere chiuso in modo sbrigativo. Fra l' altro, i periti devono mettere a confronto e spiegare altri dati apparentemente contraddittori: si sa, ad esempio, che la misurazione del cadavere (un metro e 73 centrimetri) non corrisponde all' altezza di Gianni Nardi, circa un metro e 80. Inoltre dovrebbero essere confrontate anche le impronte prese subito dopo l' incidente che, come ha dichiarato l' ex capo della brigata criminale Nicolas Sastre, furono di scarsa qualita' . Nicolas Sastre ha affermato che quel rilievo fu molto difficoltoso perche' , nel frattempo, si era gia' proceduto all' imbalsamazione. In sostanza, gli incartamenti dell' epoca riguardanti la morte di Gianni Nardi sono almeno quattro e dovranno essere riuniti e confrontati: uno al Tribunale di Manacor, uno alla polizia di Palma di Maiorca, uno presso il consolato italiano di Palma e uno presso l' Interpol italiana. Nessun cronista e' stato ammesso nei laboratori del cimitero di Palma e nessuno ha visto, ammesso che sia gia' stato scritto, un referto medico legale. Immaginare nuovi colpi di scena sembra azzardato ma restano da chiarire le origini di questo mistero, quel misto di mezze verita' e mezze bugie che ha consentito a Donatella Di Rosa, come ad altri prima, di sostenere la tesi di un Gianni Nardi vivo. Per questo occorrerebbe ricostruire i rapporti fra le autorita' italiane e spagnole dell' epoca, spiegare i "vuoti" burocratici e investigativi, ricollocare la figura del neofascista nello scenario italiano di quegli anni. Ma occorre anche spiegare perche' si e' utilizzato ancora oggi il fantasma di Nardi: chi lo ha fatto, non poteva non prevedere che, prima o poi, il caso si sarebbe sgonfiato di fronte a un banale quanto inoppugnabile riscontro scientifico. E allora? Si puo' contestare anche questo riscontro, immaginare manipolazioni di laboratorio e sostituzioni di dossier, comunque alimentare ancora il dubbio: nei grandi polveroni nazionali non servono le prove. Bastano i sospetti. --------------------------PUBBLICATO --------------------- TITOLO: "E' solo una storia di truffa Golpe? Sarebbe un autogol" IL GENERALE- - - - - FIRENZE . Il generale Franco Monticone ha cosi' commentato le notizie provenienti dalla Spagna sul probabile riconoscimento della salma di Gianni Nardi e le ultime affermazioni di Donatella Di Rosa: "Questa era una vicenda di truffa e di tentata estorsione ai miei danni: mi dispiace per il Paese che sia accaduto tutto il resto, tutto quello che ci e' stato ricamato sopra. Il fatto che chi ha inventato questa storia abbia avuto una cosi' ampia audience, con 56 milioni di persone ad ascoltarla, mi consola: significa che non sono stato cosi' sprovveduto nel mio rapporto con lei". Sull' ipotesi di una "regi' a" dietro le dichiarazioni della Di Rosa, Monticone dice: "Queste sono cose che dovete chiedere a lei". E degli inquirenti che da mesi indagano sulle rivelazioni di Donatella: "I magistrati fanno il loro mestiere. Sta alla coscienza di chi chiede di indagare su un fantasma non impedire alla magistratura di fare cose piu' serie. Questa era una vicenda personale e avrei auspicato che rimanesse tale. Quanto alle conseguenze per la vita del Paese, non e' una novita' che ogni tanto emergano episodi su cui occorre fare chiarezza. Ma non credo che la mia vicenda abbia niente a che vedere con questo". Il generale ribadisce poi: "Nell' Esercito non ci sono, nella maniera piu' assoluta, tentazioni autoritarie: del resto, e' fuori dal contesto storico parlare di tentazioni del genere. Per di piu' , sarebbe un autogol per le forze armate, sarebbe un colpo di stato contro se stesse". Il suo legale, Eraldo Stefani, ha presentato ieri al gip di Firenze, Maurizio Barbarisi (che dovra' decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio dei coniugi Michittu per truffa e tentata estorsione), la documentazione che prova l' autenticita' delle registrazioni d' una serie di telefonate di Donatella Di Rosa al generale, che dimostrerebbero l' appropriazione da parte della donna di circa 700 milioni del generale Monticone. ----------------------PUBBLICATO ------------------------ TITOLO: "Gioco duro, ma per tutti e quella perizia non vale" LA "MATA HARI" - - - UDINE . Un durissimo colpo alla sua credibilita' . Una sberla che dovrebbe zittirla. E invece Donatella continua a parlare. Replica, arricchite, le accuse che lancia da oltre 10 giorni. "Il gioco . ammette . si fa duro. Ma finalmente lo sara' per tutti". E la perizia sulla salma di Nardi? "Buffonate che servono a nascondere dell' altro. E poi, quale interesse aveva il governo spagnolo a velocizzare tanto l' iter della riesumazione?". La Di Rosa ripete le perplessita' sollevate dal suo legale. Prima ancora del verdetto medico legale, l' avvocato Livio Bernot paventava la nullita' della procedura in Spagna. Per tre ragioni: la riesumazione e' stata effettuata secondo le leggi spagnole ed e' da verificare se tali norme siano compatibili con quelle italiane; la perizia doveva essere supportata da una rogatoria internazionale e con richiesta della magistratura italiana; la non presenza delle parti e dei loro legali. Forte di questi argomenti, la donna ricomincia ad accusare: "No, non finisce qui, statene certi. Certo, io e mio marito abbiamo altre carte da giocare. Pensavate forse che non avessimo messo in preventivo tutto questo? Riusciremo a sbugiardarli tutti, molto presto". Ma il vero asso nella manica, aggiunge, resta Gianni Nardi: "Secondo voi il giudice Vigna sarebbe talmente sprovveduto da aver indagato un tale Nardi sulla base delle mie dichiarazioni rese nel memoriale? Forse e' piu' probabile che davvero qualcuno abbia le prove dell' esistenza di Gianni Nardi". E aggiunge: "Prima di muoverci attendiamo il verdetto definitivo sul caso Nardi. Poi agiremo a vari livelli, anche quello legale. E da giorni che vado dicendo che tutto si sarebbe risolto sulla verifica dell' esistenza di Gianni Nardi. In realta' , non si vuole affrontare il resto, a cominciare dal traffico d' armi. Basterebbe una verifica fiscale sul tenore di vita di alcuni di questi alti ufficiali". -------------------------PUBBLICATO --------------------- TITOLO: "Per me e' un esame impossibile" L' ESPERTO - - PAVIA . "Quello che subi' la salma di Nardi non fu un processo di imbalsamazione ma un semplice trattamento conservativo che non puo' aver mantenuto intatto il corpo". Il professor Antonio Fornari, cattedratico di medicina legale all' Universita' di Pavia, non e' convinto del procedimento con cui si cerca d' identificare il corpo di Gianni Nardi. "Mi sembra strano . dice . che a 17 anni dalla morte i polpastrelli delle dita d' una persona non imbalsamata possano consentire il rinvenimento d' impronte digitali addirittura in 21 punti differenti". "Esistono altre possibilita' di identificazione . rileva .. Di grande importanza e' lo stato della dentatura e la ricerca di eventuali malformazioni e focolai di fratture". 15 ottobre 1993
" la salma di Nardi? non e' qui, ma in Spagna " parla l' avvocato Fabio Dean, legale della famiglia Nardi L' INTERVISTA . Perugia, parla l' avvocato Fabio Dean, legale della famiglia TITOLO: "La salma di Nardi? Non e' qui, ma in Spagna" PERUGIA . Qualcuno si e' preso la briga di andare a controllare se la salma di Gianni Nardi riposa nel cimitero di Venarotta, in provincia di Ascoli Piceno, il paese di origine del padre, ma nella cappella di famiglia di lui nessuna traccia. "Perche' la salma e' rimasta nel cimitero di Campos, ecco perche' ", spiega il professor Fabio Dean, legale della famiglia Nardi che definisce "una mostruosita' , una assurda, macabra imbecillita' " le dichiarazioni di Donatella Di Rosa. "Gianni Nardi e' morto in un incidente stradale avvenuto a Palma de Majorca il 10 settembre del ' 76", ricorda perentoriamente Dean. Eppure qualcuno nutre dei dubbi che quel corpo fosse proprio quello di Gianni Nardi... "I giudici della procura di Firenze debbono fare il proprio dovere . commenta Dean ., in presenza di certe dichiarazioni devono approfondire i fatti, prima di passare alla contestazione del reato di calunnia per questa signora...". Ritiene siano solo menzogne? "Certamente". Chi riconobbe il cadavere di Gianni Nardi all' obitorio di Campos? "Il cugino Emanuele. Ero presente anch' io al riconoscimento, stavano arrivando gli altri parenti; la sorella era in Spagna". Si dice che il corpo di Gianni Nardi fosse sfigurato dalle fiamme: e' vero? "No. Era riconoscibilissimo. Questa storia riapre una ferita lacerante per la madre e la sorella: a 7 anni di distanza stanno accadendo loro cose terribili. Ma s' immagina le telefonate di chi chiede loro notizie del figlio e del fratello morto ormai da tanto tempo?". Che cosa intende la signora Cecilia Amadio quando dice che esibira' tutte le prove documentali che accertano la morte del figlio? "Si riferisce ai rilievi e ai verbali della polizia in merito all' incidente". La sedicente Falange Armata ha telefonato all' Ansa per confermare che Gianni Nardi e' morto. "Ricordo a nome della famiglia che Gianni Nardi non e' mai stato un terrorista". Si parlo' di lui nel caso dell' omicidio del commissario Luigi Calabresi che stava indagando su di un traffico di armi. Qualcuno noto' la sua somiglianza all' identikit dell' assassino... "E stato ampiamente dimostrato che Nardi non c' entrava con l' omicidio del commissario, tanto e' vero che la vedova Calabresi non ha mai pensato di costituirsi parte civile contro di lui". Ma perche' la Di Rosa avrebbe dovuto tirare in ballo Nardi ? "Non e' chiaro che cosa cerchi di dimostrare, ma e' talmente sciocco... Forse dietro ci sono dei propositi devianti: il solo fatto che si indaghi su Nardi, un morto, e' gia' di per se' deviante". Insomma, un fantasma resuscitato per essere usato come capro espiatorio... "Bisognerebbe chiedersi a chi giova tutto questo, se ci siano motivi politici, economici, o manie di protagonismo". Cimitero di Campos di Maiorca
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21 ottobre 1993
DENTI E CAPELLI CONFERMANO: E' NARDI PALMA DI MAIORCA - Si sta per chiudere un capitolo, quello del riconoscimento di Gianni Nardi, e se ne sta per aprire un altro, quello sui traffici dei neofascisti italiani in Spagna. Ieri si sono conclusi gli esami sul cadavere di Campos, e i poliziotti italiani sono ripartiti con il dossier nella valigia. Oggi si incontrano a Firenze col giudice Vigna. Anche le ultime analisi, sulle ossa, sui denti, sui capelli trovati stretti fra le dita del cadavere, confermerebbero l' esito delle impronte digitali: quell' uomo morto a Palma nel ' 76 è proprio Gianni Nardi. Ma non c' è ancora la conferma ufficiale. La polizia spagnola, intanto, ha aperto un' inchiesta sulle attività dei neofascisti italiani nell' isola. Nel mirino, i movimenti di Nardi, del compagno della sorella Alba, Antonio Maino, ripescato dalle acque di questa stessa isola quaranta giorni prima che morisse Nardi, e di un altro neofascista, Elio Massagrande, che pochi giorni dopo la scomparsa di Nardi si sarebbe recato nella sua casa di Cala Figuera a recuperare carte e documenti. Gli inquirenti stanno cercando di stabilire anche il ruolo avuto dai servizi segreti italiani, spagnoli e tedeschi. Una delle ipotesi è che Nardi e Maino avrebbero potuto essere stati usati dai servizi quando servivano, abbandonati quando non servivano più, eliminati quand' erano divenuti scomodi e "resuscitati", nel caso di Nardi, quando servivano di nuovo. Le morti "accidentali" di Maino, affogato mentre pescava, e di Nardi, finito contro un camion perché correva troppo, non convincono. Nardi pensava che Maino fosse stato ucciso. E Josè Esteva Ferriol, l' autista del camion contro cui Nardi andò a sbattere, dice che non fu un incidente ma un inseguimento. Nardi, che aveva un passaporto falso intestato al boliviano Armando Costa Vinas, viaggiava su una Fiat 127 rossa targata Vicenza, ed era inseguito da due moto della polizia. Dopo l' incidente un ispettore di polizia si avvicinò al camionista e gli disse : "Bravo, riceverai una ricompensa. Hai aiutato la polizia ad arrestare un terrorista dell' Eta". E il camionista ricevette centomila pesetas. Gli esami dei periti dell' Istituto anatomico forense di Palma hanno stabilito che, comunque, quel cadavere è di Nardi. "Basta l' impronta, è decisiva. Il caso si può considerare risolto" conferma Cisco Olivier, dirigente della polizia. Solo il giudice di Manacor, Josè Luis Felis Garcia, va per le lunghe: "Finché non avrò in mano tutti i risultati definitivi delle analisi non dico nulla". Non mancano però delle perplessità su come sono state condotte le analisi. "Se fare i rilievi era difficile allora, figuriamoci oggi" dice Nicolas Sastre, il poliziotto che prese le impronte digitali a Nardi dopo la morte. E proprio queste impronte del ' 76 sono al centro di un giallo. Sastre dice di averle prese per incarico dell' Interpol italiana e inviate a Madrid e a Roma. Ma gli spagnoli non hanno mai visto queste impronte. "Nel fascicolo intestato a Nardi non ci sono" dice il giudice Felis Garcia. "Non abbiamo impronte, le hanno gli italiani" aggiunge Cisco Olivier. E gli italiani le hanno. Ma sono quelle vere? Quelli dell' Interpol hanno portato le impronte prese a Nardi nel ' 74, quando fu arrestato in Italia, e quelle prese al morto del ' 76 in Spagna, e le hanno confrontate con quelle del cadavere esumato sabato scorso a Campos. Coincidono. Se ci fosse sotto un trucco dei servizi, qualcuno avrebbe dovuto sostituire, nel dossier italiano, le impronte vere di Nardi, quelle prese nel ' 74, con quelle del morto di Spagna del ' 76. In modo da farle, sempre e comunque, coincidere. 12 marzo 1994
' NIENTE PERIZIE SUL CADAVERE DI GIANNI NARDI' PALMA DI MAIORCA - E ora ci si mette anche la magistratura spagnola a complicare il già complicatissimo caso Nardi, il neo fascista morto e sepolto, secondo la famiglia, nel cimitero di Campos fin dal 1976; vivo, vegeto e macchinatore di trame eversive secondo lady-golpe Donatella Di Rosa. "Rifiuterò al mio collega italiano Maurizio Barbarisi l' autorizzazione all' intervento di periti italiani per l' esame del dna sulla salma del presunto terrorista Gianni Nardi", ha dichiarato all' agenzia di informazione Efe il giudice spagnolo Josè Luis Felis, titolare del tribunale di Manacor dove si trova la salma di Nardi. Usa toni perentori Felis e commenti denigratori nei confronti degli inquirenti italiani. Dice chiaramente che i magistrati italiani non avranno vita facile quando cercheranno la collaborazione dei colleghi spagnoli per ottenere l' esame del dna della salma disposto mercoledì dal gip di Firenze Maurizio Barbarisi che lo ha affidato al professor Angelo Fiori dell' Università Cattolica di Roma. "Ho parlato ieri con il giudice Barbarasi - ha aggiunto Felis in un crescendo di giudizi poco gentili nei confronti delle autorità italiane - e lui mi ha preannunciato che proporrà una commissione rogatoria con la quale effettuare l' esame del dna sulla salma riesumata a Campos; ma io gli ho dichiarato la mia sfiducia totale sull' operato degli agenti dell' Interpol". "Al mio collega italiano - ha spiegato - ho detto che non desidero che intervenga la polizia italiana nell' identificazione del cadavere. Quando vennero nell' ottobre 1993 presero le impronte in modo tale che lasciarono il dito inutilizzabile per poter effettuare nuovi rilevamenti". 16 ottobre 1993
' NON E' STORIA D' AMORE MA D' ARMI E D' INTRIGHI' UDINE - Lo cercano in Spagna, il terrorista nero Gianni Nardi, dato per morto diciassette anni fa. Intanto la polizia iberica si è messa sulle sue tracce in seguito ad una richiesta del ministero italiano della Giustizia, che vuol vedere se è vero quanto ha detto ai giudici di Firenze la Mata Hari di Udine. Intanto oggi, nel cimitero di Campos, sull' isola di Majorca, la salma di Nardi sarà riesumata e sottoposta ad autopsia. Per Donatella Di Rosa, Nardi è vivo e vegeto, gira il mondo con un passaporto diplomatico e partecipa in Italia a riunioni golpiste con generali traditori e fascistoni d' annata. Secondo la donna il terrorista sarebbe stato aiutato ad espatriare da un alto prelato del Vaticano. Uno spagnolo. "Nardi sta bene -dice la signora- l' ho visto due mesi fa, a Udine. Avevo bisogno di lui per un favore". Quale, non lo dice. Un espatrio facile, come quello di Friedrich Schaudinn, l' esperto austriaco di esplosivi condannato a 22 anni per la strage del rapido 904. "Sono straconvinto che i magistrati italiani si sono comportati in modo da farmi uscire dall' Italia - ha detto al TG5 che l' ha rintracciato a Francoforte - al processo sarei stato molto scomodo per l' accusa". Le procure di mezza Italia intanto hanno messo gli occhi sulla donna che ha fatto girare la testa e perdere il posto al generale Franco Monticone, e che racconta di armi, di miliardi, di colpi di Stato. Ieri è stata interrogata dal procuratore di Udine Giorgio Caruso, per la storia di un nascondiglio di armi a Cividale gestito da ufficiali e terroristi neri, verrà sentita dai giudici di Brescia per la strage di Piazza della Loggia. "So da chi e in che modo furono ostacolate e depistate le indagini" assicura. E i suoi avvocati scrivono un' altra puntata della telenovela d' amore e di spionaggio col generale. Valerio De Santis, da Firenze, smonta la difesa di Monticone. Dice che la vicenda "è molto seria e grave" e che il generale sapeva benissimo chi era quella donna. Livio Bernot da Udine, l' altro legale della Di Rosa, annuncia querele per il generale innamorato. Si sarebbe espresso "in termini lesivi" verso la signora. Passando dai regali agli insulti. Fair-play invece da parte del generale Canino. Parlando ai cappellani militari a convegno a Ischia se l' è cavata con una battuta : "Stanno accadendo cose a cui non avrei mai pensato né voluto". In Spagna le ricerche di Gianni Nardi, estese a tutto il paese, sono cominciate dove la sua storia di bombarolo era finita, sull' isola di Majorca, nelle Baleari. Qui sarebbe stato sepolto, dopo che aveva perso la vita in uno stupido incidente stradale. Era il settembre del ' 76. Il suo corpo venne riconosciuto dai familiari. La madre di Nardi, Cecilia Amadio, giura che il figlio è morto. Donatella Di Rosa sorride e fa no con la testa. Deve aver saputo molte cose da suo marito, il tenente colonnello Aldo Michittu, che per diciotto anni è stato l' amante ("quasi un convivente" precisa) della madre di Nardi, vent' anni più vecchia di lui. Già ieri i servizi di sicurezza spagnoli non escludevano che potesse venir ordinata, dalla "Jugzado" delle Baleari, l' equivalente della nostra procura, la riesumazione della salma. Ma la tomba potrebbe anche essere vuota. O il cadavere, di un boliviano, Arnaldo Costa Vina, il cui passaporto era stato trovato nell' auto dell' incidente, che aveva una targa italiana. In quel periodo dicono gli inquirenti della Guardia Civil, c' era molta confusione in Spagna, Franco era morto da pochi mesi, e parecchi fascisti italiani si davano da fare. Tra questi, "un benemerito". Per questo motivo non si escludono irregolarità. A cominciare dai documenti relativi all' autopsia del morto. Anche questi non si troverebbero più. Donatella Di Rosa ha cominciato, nel frattempo, il pellegrinaggio che la porterà di giudice in giudice. Ieri mattina è uscita soddisfatta dall' ufficio del procuratore di Udine: "Ho fornito al magistrato tutti gli elementi in mio possesso circa il nascondiglio di armi che si trova vicino a Cividale. Abbiamo guardato alcune cartine e parlato di alcune delle cose dette in questi giorni. Mi pare che il magistrato sia rimasto soddisfatto dei chiarimenti. Penso che per lo meno voglia capire". E, sempre per capire, l' avvocato Valerio De Sanctis, uno dei due legali della donna, ieri a Firenze ha ribattuto colpo su colpo, in una conferenza stampa cui erano presenti dei carabinieri in borghese camuffati da giornalisti, alla conferenza stampa del giorno prima del generale Monticone. "Questa vicenda è troppo seria - ha detto - per essere ridotta ad una storia nella quale si parla di amori e di ingenuità". Secondo il legale, Monticone era "buon amico" della signora e di suo marito, sapeva benissimo che lei era la moglie del tenente colonnello, ed era addirittura intervenuto più volte per aiutarli: aveva favorito le partecipazioni del marito della propria amante ad importanti missioni militari all' estero, ed aveva seguito personalmente le pratiche per l' acquisto di una casa, per la Di Rosa e suo marito, a Pasian di Prato, vicino a Udine. Quanto alla storia dei soldi, quei 700 milioni, frutto di una colletta tra militari, che il generale avrebbe dato alla signora perchè "ungesse" la Sacra Rota e facesse annullare il suo matrimonio, l' avvocato De Sanctis l' ha giudicata "non credibile". L' unica ammissione fatta dal legale, è che è vero, come ha detto Monticone, che la donna si presentava talvolta sotto falso nome. Ma lo faceva, ha detto, per non far sapere "alla gente con cui si incontravano" che era la moglie di Michittu. La signora lavorava per qualche servizio segreto? hanno chiesto all' avvocato i giornalisti. Il legale ha risposto in maniera evasiva.
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I banchieri di Dio
Dato il periodo che vede papi dimettersi e banche sull'orlo del precipizio forse è utile ricordare le vicende pubbliche e personali del presidente della banca che ha avuto il crack più grosso della storia italiana. In queste righe cercheremo di parlare del film italiano forse più controverso degli ultimi quindici anni, basti pensare che non è stato mai trasmesso in televisione e quando è uscito nelle sale cinematografiche, marzo 2002, fu messo sotto sequestro dopo poche settimane e ne venne sospesa la proiezione. Il film “I banchieri di Dio” del regista Giuseppe Ferrara, autore dal forte impegno civile, tra i suoi film ricordiamo “il caso Moro”, “Giovanni Falcone”, “Segreti di stato”, racconta gli ultimi anni di vita di Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano, e le sue operazioni spregiudicate con finanza vaticana, partiti politici, poteri massonici, servizi segreti e organizzazioni criminali. Il film è uno spaccato della storia politica e finanziaria italiana degli anni ’70 – ’80, tra bancarottieri, monsignori e faccendieri, si muove un oscuro personaggio, esponente della media borghesia, con 50 vestiti grigi uguali nel guardaroba, entrato come impiegato e diventato presidente di una delle banche cattoliche più importanti, arrestato nell’ ’81, condannato a 4 anni di reclusione e 15 miliardi di multa, poi fuggito all’estero e infine trovato impiccato nel giugno del ‘82 sotto il Ponte dei Frati Neri a Londra. Dopo aver raccolto una enorme mole di dati ed informazioni non solo su Calvi ma anche sul Banco Ambrosiano, lo IOR, l’Opus Dei e la Massoneria, Ferrara si inerpica per le ripide pareti di un caso sul quale la giustizia italiana non ha fatto ancora oggi piena luce, nelle cui maglie è rimasto intrappolato anche il Vaticano. Un film nel quale c’è tutto: dalla loggia massonica P2, all’attentato al Papa, dai servizi segreti deviati, alla guerra delle Falklands. Ma non si possono certo raccontare 10 anni di storia politica ed economica italiana in poco più di due ore di film e purtroppo spesso ci sono una serie di dialoghi comprensibili solo a chi quegli anni li ha vissuti e ne conosce perfettamente i fatti politico-economici-sociali. In ogni caso va riconosciuto il merito e il coraggio di aver cercato di colmare un buco nero nella recente storia italiana. |
Tra i punti di forza del film si riscontrano la capacità di sintesi di una materia complessa e intricata, un ritmo narrativo incalzante, in bilico sull’enfasi frenetica, la sagacia nel suggerire la sfida di Calvi impigliato nella rete dei poteri forti, legali e illeciti e la coinvolgente descrizione dei suoi rapporti familiari, specialmente con la moglie.
Durante la sua vita, Roberto Calvi aveva sognato di essere un uomo influente. A capo del banco Ambrosiano, che egli aveva reso uno degli istituti finanziari più potenti d’Italia, aveva fatto la sua entrata nella “crème” del capitalismo italiano ed europeo. Lui, uomo mediocre e senza altra cultura se non quella dei numeri, entrò a far parte dei grandi di questo mondo. Il cupo e taciturno Calvi, chiuso tutta la giornata nel suo ufficio blindato, aveva accesso quasi diretto al Papa e conosceva molte persone. In Vaticano, nell’esercito, nella stampa, nell’industria, nella massoneria. Egli era, da solo, una potenza e si comportava come tale, regnando da autocrate sul banco Ambrosiano, intrecciando dei legami con figure ambigue della finanza e della politica, dandosi a manovre finanziarie di una complessità inaudita, causando alla fine la rovina della sua banca e la sua propria fine.
La sua storia è emblematica dell’Italia del dopo guerra, segnata da trucchi su grande scala ed incredibili collusioni d’interessi. Quando Roberto Calvi entra nel cattolico Banco Ambrosiano come contabile è in corso la trasformazione delle banca in istituzione che accetta i depositi, ma che detiene ugualmente degli interessi nell’industria e nella finanza. Calvi si mostra risoluto, dotato per le montature finanziarie, si occupa di mettere in atto le ambizioni del suoi padroni, acquisendo partecipazioni nei grandi gruppi italiani, intrecciando accordi con altre banche europee, procedendo addirittura ad un’acquisizione in Svizzera. Così ha inizio la sorprendente ascesa di Roberto Calvi, che lo condurrà alla presidenza della banca nel 1975. Calvivuole inserire l’Ambrosiano nel grande flusso mondiale della finanza e metterlo al riparo da eventuali predatori istigati dalla sinistra italiana, si spiega così l’incredibile accumulo di società offshore create in Lussemburgo, alle Bahamas e in America latina. Queste permettono di operare trasferimenti di fondi in modo del tutto riservato e di assicurare l’autocontrollo della banca, dato che queste filiali comprano massicciamente delle azioni dell’Ambrosiano. Il tutto in flagrante violazione della legislazione in materia d’esportazione di capitali e di controllo dei cambi. Tre persone strettamente legate avranno un ruolo chiave nella costituzione di questo impero finanziario ai margini della legalità.
La prima in ordine d’apparizione è Michele Sindona. Affarista siciliano molto ben introdotto negli ambienti finanziari milanesi, e che morirà avvelenato nella sua cella nel 1986, è un “habitué” del Vaticano di cui è diventato il consigliere finanziario ufficioso. Dotato per gli espedienti, egli lavora tra l’Italia e gli Stati-Uniti, dove tratta degli affari per dei finanzieri italo-americani, di cui alcuni appartenenti alla Mafia. A Calvi, che incontra nel 1968, Sindona offre una competenza in investimenti riservati e preziosi contatti nel mondo della finanza italiana. È lui ad aiutarlo a creare delle società di facciata nei paradisi fiscali. In cambio, Calvi sosterràSindona nei suoi affari italiani e americani. In breve, riciclerà il denaro sporco della Mafia.
Il secondo personaggio è ancora più enigmatico è Licio Gelli. Quando Calvi lo incontra nel 1975, attraverso l’intermediazione di Sindona, l’uomo è il “venerabile” della loggia massonica P2. Creata nel 1877, essa raggruppa centinaia di persone tutte appartenenti all’élite dirigente d’Italia: militari, politici, membri dei servizi segreti, grossi industriali, grandi ecclesiastici, caporedattori di giornali. L’ex fascista Gelli, amico dei dittatori latino-americani, ossessionato dalla minaccia comunista, all’inizio degli anni ’70, ha trasformato una banale loggia massonica in un vero e proprio Stato nello Stato. Con l’aiuto della CIA, che ha fatto dell’Italia una delle sue basi avanzate del suo programma “Stay Behind” con l’obiettivo di contenere l’espansione comunista in Europa, la P2 mette in atto manovre di destabilizzazione con vari fini. Le manovre culmineranno in molteplici tentativi di colpo di Stato e poi nell’attentato della stazione di Bologna nel 1980 che causerà 85 morti. Per Gelli, Calvi, iniziato alla P2 nel 1975, è una recluta scelta. Egli metterà in effetti i suoi mezzi finanziari al servizio della “causa”, finanziando partiti politici, industriali e giornali di destra. È proprio tramite Gelli che Calvi assumerà il controllo occulto del giornale “Il Corriere della Sera”, messo al servizio della “strategia di tensione” che mirava ad allontanare la sinistra italiana dal potere.
Il terzo uomo è l’arcivescovo Paul Marcinkus. Membro della loggia P2, fu nominato da Paolo VI capo delloIOR, l’Istituto per le opere religiose, la “banca del Vaticano” incaricata della gestione dei conti degli ordini religiosi e delle associazioni cattoliche. Sotto la sua direzione e con la benedizione del Papa, ansioso di dotare il Vaticano di mezzi finanziari all’altezza delle sue ambizioni, Marcinkus intraprese la trasformazione dello IOR in una struttura di gestione di attivi e di attività e partecipazioni in Italia e nel mondo. In questa missione, egli beneficiò dell’appoggio di Sindona che lo aiutò a sbarazzarsi di investimenti poco redditizi. È sempre attraverso Sindona che fu messo in contatto con Calvi. Alla ricerca di investimenti riservati e fruttuosi, lo IOR divenne molto rapidamente uno dei principali partners dell’Ambrosiano, poi il suo primo azionista. In cambio dell’appoggio finanziario dello IOR, l’istituzione di Roberto Calvi finanziò, tra l’altro, il sindacato polacco Solidarnosc e la guerriglia dei Contras in Nicaragua.
Il quartetto Calvi, Gelli, Sindona, Marcinkus durante tutti gli anni ’70 operò vasti trasferimenti di fondi tra l’Italia e i paradisi fiscali. Tra le altre operazioni, trasformarono lo IOR in un crocevia internazionale di operazioni illecite che spaziavano dal riciclaggio di denaro sporco di provenienza mafiosa all’evasione fiscale e all’esportazione di capitali all’estero, fino alla raccolta e alla distribuzione di tangenti a favore del mondo politico. Tuttavia all’inizio degli anni ’80, la gestione rischiosa e solitaria di Calvi, la cui banca aveva concesso ingenti prestiti alle sue filiali offshore per effettuare investimenti in gran parte segreti, iniziò seriamente ad incuriosire la giustizia italiana. Ironia della sorte, fu Sindona, furioso per non aver beneficiato dell’appoggio finanziario di Calvi durante uno scandalo scoppiato negli Stati Uniti, a mettere in moto il meccanismo che finirà con l’esplosione dell’Ambrosiano. Nel 1977, il finanziere siciliano orchestrò in effetti una campagna d’affissione notturna nelle vie di Milano denunciando le manovre di Calvi e i dirottamenti da lui operati. Il meccanismo di distruzione era stato messo in moto e in cinque anni il sistema crollò.
In questo periodo (quello descritto dal film), rintanato nel suo ufficio o nella sua villa, Calvi cercò di parare i colpi. All’inizio ci riuscì, facendo forse da mandante nell’assassinio del magistrato incaricato del dossier e riuscendo a bloccare un’inchiesta della Banca centrale. Però nel 1980, in seguito a una lunga ispezione della Banca d’Italia all'Ambrosiano, Calvi venne inquisito per sospetta esportazione di valuta e si vide ritirare il passaporto. Alla disperata ricerca di denaro, si avvitò in rischiose operazioni di riciclaggio di denaro sporco. Il 20 maggio 1981 Calvi venne arrestato per esportazione illecita di capitali e rinchiuso nel carcere di Lodi. Contro il provvedimento della procura protestarono in Parlamento il segretario del Psi Bettino Craxi e della Dc Flaminio Piccoli. Processato in luglio insieme ad altri amministratori dell’Ambrosiano e della Centrale,Calvi fu condannato a quattro anni. Dal carcere lanciò messaggi criptici che suonarono come ricatti, emblematico il suo “Questo processo si chiama IOR”. Il 20 luglio ottenne la libertà provvisoria. Ma “la vicenda della Banca d’Italia” non era che la punta dell’iceberg. A partire dal 1981, la morsa si strinse. Abbandonato dai suoi amici politici, privato dell’appoggio di Sindona, arrestato negli Stati Uniti nel 1979 per frode e complicità in assassinio, abbandonato anche da Marcinkus (protetto ora da Giovanni Paolo II) che rifiutava di prestare ogni aiuto finanziario all’Ambrosiano, Calvi assiste, impotente, all’affondamento del suo impero. Tra l’altro in quel periodo in Vaticano si fronteggiavano aspramente due fazioni politiche contrapposte: una, massonica-moderata che faceva capo ai cardinali Casaroli, Samorè, Silvestrini e Pio Laghi, e l’altra, integralista, legata all’Opus Dei che faceva capo a Marcinkus, a Mons. Virgilio Levi, vice direttore dell’”Osservatorio Romano”, e Mons. Luigi Cheli, Nunzio pontificio presso l’ONU. Il 5 giugno 1982 Calvi scrisse una lettera a Giovanni Paolo IInella quale afferma di essersi preso carico “del pesante fardello degli errori e delle colpe commesse dai rappresentanti attuali e passati dello IOR”. Poi la fuga e la morte sotto un ponte del Tamigi. Lasciò un buco di 1,4 miliardi di dollari nel banco Ambrosiano e di 250 milioni di dollari nelle casse dello IOR. Vicino ad un’impalcatura sotto il ponte di Blackfriars, si chiuse il più grande scandalo finanziario della Storia d’Italia. Una vicenda che è lontana dall’averci rivelato tutti i suoi segreti. Suicidio di un uomo logorato e braccato? O assassinio? Molto presto si delineò l’idea che Roberto Calvi fu in realtà liquidato per impedirgli di parlare. Ma da chi? Dal Vaticano, legato al banchiere da legami tanto sulfurei quanto oscuri? Dalla Mafia, di cui il banco Ambrosiano gestiva i fondi? Dalla loggia P2, questo vero e proprio Stato nello Stato e di cui il defunto conosceva quasi tutti i segreti? Dai servizi segreti italiani? Nell'ottobre 2005 la giustizia ha riconosciuto che Calvi è stato assassinato, probabilmente attraverso un accordo con la Mafia, “per impedire un potere ricattatorio verso i referenti politico-istituzionali della massoneria, della loggia P2 e dello IOR di cui aveva gestito alcuni investimenti”. Cinque persone sono state accusate tra cui un ex-cassiere della Mafia. Una vera e propria coalizione d’interessi oscuri destinati a far tacere un uomo divenuto all'improvviso pericoloso.
Quella di Calvi fu solo l’ennesima morte di un lungo periodo buio della storia italiana che facciamo ancora fatica a nominare e ricostruire, la storia degli affari illeciti in cui agivano finanza laica e cattolica, politica, massoneria, servizi segreti deviati, mafia e altre organizzazioni criminali e dove nessuno rimase illeso, nemmeno il Vaticano. A Ferrara il merito di aver girato un film su una storia che aveva interessato già Gianmaria Volontè e Francis Ford Coppola , un film più volte bloccato per i mancati finanziamenti, una storia che ancora oggi deve essere tenuta sopita. Ogni episodio del film quindi ripercorre fedelmente fatti e situazioni realmente avvenuti, tra cui i momenti di vita privata del Papa Giovanni Paolo II, che “non viene mostrato mai in volto per rispetto”, come recita una didascalia iniziale, parecchie scene sono accompagnate da sottotitoli che riportano fedelmente alcuni passi delle ordinanze di custodia cautelare, dimostrazione di serietà e obiettività con cui l’autore ha voluto fare cronaca su una vicenda estremamente delicata. Come detto nell’aprile 2002 “I banchieri di Dio” fu messo sotto sequestro su denuncia di Flavio Carboni, il faccendiere interpretato magistralmente nel film da Giancarlo Giannini, introdotto negli ambienti della politica, del vaticano, della mafia, della banda della magliana, uno dei cinque accusati della morte di Calvi e balzato di nuovo agli onori della cronaca nel 2010 per le inchieste sulla P3. Il film dopo il sequestro è stato riconosciuto d’interesse culturale nazionale dalla Direzione Generale per il Cinema del Ministero per i Beni e le Attività Culturali italiano.
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" Rubai in banca le carte di Calvi " Viccei Valerio, il rapinatore neofascista che partecipo' alla rapina del 1987 al deposito di Knight Bridge, avrebbe rivelato al settimanale inglese " the mail on Sunday " che due delle cassette di sicurezza svuotate contenevano documenti appartenenti a Calvi Roberto e Di Carlo Francesco. interrogati anche gli altri appartenenti alla banda
LONDRA
All' indomani delle dichiarazioni della vedova Calvi, esule in Canada, a proposito dell' inchiesta sul "conto Protezione", dalla Gran Bretagna giungono nuovi elementi che potrebbero arricchire il fascicolo giudiziario sulla morte del presidente del Banco Ambrosiano, che fu trovato impiccato sotto il ponte di Blackfriars il 18 giugno 1982. Dei mille segreti che Roberto Calvi, il "banchiere di Dio", aveva lasciato dietro di se' , uno venne scoperto cinque anni dopo la sua morte, ma solo qualche settimana fa se ne e' avuta notizia. Tra le cassette di sicurezza svuotate durante la rapina miliardaria del 1987 al deposito di Knight Bridge, a Londra, ce ne era una che, forse, conteneva documenti appartenenti allo scomparso finanziere. Lo avrebbe rivelato a un investigatore di Scotland Yard Valerio Viccei, il rapinatore neofascista che partecipo' al celebre colpo e che ora sta scontando in Italia i 35 anni di prigione inflittigli dalla magistratura inglese. La notizia e' riportata dal settimanale popolare britannico The Mail on Sunday. Le presunte "rivelazioni di Viccei" sarebbero state prese tanto sul serio dagli inquirenti che due magistrati romani si sarebbero recati la scorsa settimana a Londra per interrogare gli altri appartenenti alla banda detenuti in Inghilterra, tra cui lo stesso direttore della banca rapinata, allora arrestato perche' ritenuto complice del colpo che frutto' un bottino da 60 miliardi di lire in denaro e preziosi. Gli inquirenti, scrive il settimanale, ritengono che i documenti siano stati nascosti dallo stesso Viccei e ora vogliono sapere dove. Inoltre, da un' altra cassetta la banda avrebbe portato via documenti appartenenti a Francesco Di Carlo, un italiano in odore di mafia che sta scontando 25 anni di prigione in Gran Bretagna per traffico di stupefacenti. Stando a The Mail on Sunday, la polizia italiana sarebbe ora convinta che l' ordine di uccidere Calvi sia stato dato dalla mafia e che l' omicidio sia stato compiuto da elementi mafiosi con base in Gran Bretagna. Un altro protagonista del caso Knight Bridge, l' antiquario marchigiano Agostino Vallorani, potrebbe contribuire a risolvere il nuovo giallo. Arrestato poco meno di due mesi fa a Roma, Vallorani e' infatti sospettato di aver ricettato la refurtiva del colpo alla banca inglese. A lui sono giunti gli uomini della Direzione investigativa antimafia: la loro convinzione e' che fosse stato lo stesso antiquario a commissionare il grande colpo nel corso del quale i rapinatori, vestiti in giacca e cravatta, si impossessarono anche di un diamante da un milione di sterline. Non solo. Vallorani e' sospettato di essere al centro di numerosi traffici finanziari nella capitale britannica. A lui, infine, la vicenda Calvi si ricollega anche per il caso Agelli: Sergio Vaccari Agelli, conoscente di Vallorani e come lui antiquario italiano trapiantato a Londra, venne assassinato nella metropoli inglese solo tre mesi dopo Roberto Calvi. Gli inquirenti ritengono la sua morte legata a quella del presidente del vecchio Banco Ambrosiano.
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Antiquario italiano nel colpo da miliardi Vallorani Agostino, noto antiquario marchigiano, e' accusato di aver ricettato la refurtiva del colpo che frutto' circa 60 miliardi di lire in oro e preziosi. nessi con l' inchiesta sulla morte di Calvi Roberto
La rapina ' 87 di Knight Bridge
ROMA
Un noto antiquario marchigiano, Agostino Vallorani, e' stato arrestato nella capitale dagli uomini del centro operativo della Direzione investigativa antimafia per aver ricettato la refurtiva rubata nel 1987 a Londra nella clamorosa rapina di Knight Bridge, che frutto' circa 60 miliardi di lire in preziosi e denaro. Gli investigatori sospettano anche che sia stato proprio Vallorani a commissionare il furto o che perlomeno i rapinatori abbiano concordato con lui la "ricettazione" prima del colpo per il quale due anni fa Scotland Yard arresto' il neofascista Valerio Viccei poi estradato in Italia. L' arresto di Vallorani e' stato convalidato da Andrea Vardaro, il sostituto procuratore di Roma, che insieme alla collega Elisabetta Cesqui e' titolare dell' inchiesta per l' omicidio del banchiere Roberto Calvi. L' operazione e' stata definita dagli stessi investigatori "delicata", anche perche' Vallorani e' sospettato di essere un uomo chiave di traffici finanziari nella capitale inglese. Vallorani era anche conoscente di Sergio Vaccari Agelli, un altro antiquario italiano trapiantato a Londra, ucciso il 16 settembre ' 82 e la cui morte, secondo gli inquirenti, deve essere ricollegata alla impiccaggione del presidente del vecchio Banco Ambrosiano e alla scomparsa di Jeanette May, ex baronessa Rothschild. Vallorani, che in alcune interviste a quotidiani londinesi in passato ha sempre ribadito la sua estraneita' a eventi misteriosi, potrebbe tuttavia essere un testimone importante sugli intrecci d' affari e le contiguita' che per decenni a Londra si sono consolidati intorno alla comunita' italiana. Furono 126 le cassette svuotate nel corso della rapina dai banditi in "giacca e cravatta" che si introdussero nel deposito munito di meccanismi di sicurezza ultrasofisticati con sensori termici e sonori, allarmi a raggi infrarossi, vetri a prova di proiettile e pareti blindate di sessanta centimetri di spessore. Per eluderli e penetrare nella camera blindata usarono una tecnica semplicissima: quella di entrare dall' ingresso principale, con tanto di valigetta 24 ore, con la scusa di voler affittare alcune cassette di sicurezza. Una volta dentro la camera blindata, in una zona non controllata dalle telecamere, disattivate comunque in un secondo momento insieme ai circuiti d' allarme, i due "gentlemen" estrassero dalle 24 ore una pistola e un fucile a canne mozze, immobilizzando il direttore Parvez Latif e due guardie di sicurezza. Dopo, con un comune walkie talkie sussurando la frase "zero, zero, via libera", fecero entrare altri complici. La banda rimase nel Knight Bridge circa un' ora e tra i preziosi che portarono via, appartenenti a grandi nomi dell' aristocrazia londinese, a uomini d' affari e sceicchi arabi, c' era anche un diamante valutato oltre un milione di sterline, circa due miliardi di lire. Un tocco di humour tipicamente inglese che sottolineo' il clamoroso colpo fu il ritrovamento di una videocassetta lasciata nel deposito dai rapinatori: era quella del film "Come sposare un milionario". Le indagini degli investigatori di Scotland Yard portarono all' arresto, un mese dopo la rapina, con l' accusa di complicita' , di Parvez Latif. Il suo racconto non convinse la polizia londinese che rilevo' diverse contraddizioni nella versione fornita dal direttore del deposito blindato. M. A. C.
Durante la sua vita, Roberto Calvi aveva sognato di essere un uomo influente. A capo del banco Ambrosiano, che egli aveva reso uno degli istituti finanziari più potenti d’Italia, aveva fatto la sua entrata nella “crème” del capitalismo italiano ed europeo. Lui, uomo mediocre e senza altra cultura se non quella dei numeri, entrò a far parte dei grandi di questo mondo. Il cupo e taciturno Calvi, chiuso tutta la giornata nel suo ufficio blindato, aveva accesso quasi diretto al Papa e conosceva molte persone. In Vaticano, nell’esercito, nella stampa, nell’industria, nella massoneria. Egli era, da solo, una potenza e si comportava come tale, regnando da autocrate sul banco Ambrosiano, intrecciando dei legami con figure ambigue della finanza e della politica, dandosi a manovre finanziarie di una complessità inaudita, causando alla fine la rovina della sua banca e la sua propria fine.
La sua storia è emblematica dell’Italia del dopo guerra, segnata da trucchi su grande scala ed incredibili collusioni d’interessi. Quando Roberto Calvi entra nel cattolico Banco Ambrosiano come contabile è in corso la trasformazione delle banca in istituzione che accetta i depositi, ma che detiene ugualmente degli interessi nell’industria e nella finanza. Calvi si mostra risoluto, dotato per le montature finanziarie, si occupa di mettere in atto le ambizioni del suoi padroni, acquisendo partecipazioni nei grandi gruppi italiani, intrecciando accordi con altre banche europee, procedendo addirittura ad un’acquisizione in Svizzera. Così ha inizio la sorprendente ascesa di Roberto Calvi, che lo condurrà alla presidenza della banca nel 1975. Calvivuole inserire l’Ambrosiano nel grande flusso mondiale della finanza e metterlo al riparo da eventuali predatori istigati dalla sinistra italiana, si spiega così l’incredibile accumulo di società offshore create in Lussemburgo, alle Bahamas e in America latina. Queste permettono di operare trasferimenti di fondi in modo del tutto riservato e di assicurare l’autocontrollo della banca, dato che queste filiali comprano massicciamente delle azioni dell’Ambrosiano. Il tutto in flagrante violazione della legislazione in materia d’esportazione di capitali e di controllo dei cambi. Tre persone strettamente legate avranno un ruolo chiave nella costituzione di questo impero finanziario ai margini della legalità.
La prima in ordine d’apparizione è Michele Sindona. Affarista siciliano molto ben introdotto negli ambienti finanziari milanesi, e che morirà avvelenato nella sua cella nel 1986, è un “habitué” del Vaticano di cui è diventato il consigliere finanziario ufficioso. Dotato per gli espedienti, egli lavora tra l’Italia e gli Stati-Uniti, dove tratta degli affari per dei finanzieri italo-americani, di cui alcuni appartenenti alla Mafia. A Calvi, che incontra nel 1968, Sindona offre una competenza in investimenti riservati e preziosi contatti nel mondo della finanza italiana. È lui ad aiutarlo a creare delle società di facciata nei paradisi fiscali. In cambio, Calvi sosterràSindona nei suoi affari italiani e americani. In breve, riciclerà il denaro sporco della Mafia.
Il secondo personaggio è ancora più enigmatico è Licio Gelli. Quando Calvi lo incontra nel 1975, attraverso l’intermediazione di Sindona, l’uomo è il “venerabile” della loggia massonica P2. Creata nel 1877, essa raggruppa centinaia di persone tutte appartenenti all’élite dirigente d’Italia: militari, politici, membri dei servizi segreti, grossi industriali, grandi ecclesiastici, caporedattori di giornali. L’ex fascista Gelli, amico dei dittatori latino-americani, ossessionato dalla minaccia comunista, all’inizio degli anni ’70, ha trasformato una banale loggia massonica in un vero e proprio Stato nello Stato. Con l’aiuto della CIA, che ha fatto dell’Italia una delle sue basi avanzate del suo programma “Stay Behind” con l’obiettivo di contenere l’espansione comunista in Europa, la P2 mette in atto manovre di destabilizzazione con vari fini. Le manovre culmineranno in molteplici tentativi di colpo di Stato e poi nell’attentato della stazione di Bologna nel 1980 che causerà 85 morti. Per Gelli, Calvi, iniziato alla P2 nel 1975, è una recluta scelta. Egli metterà in effetti i suoi mezzi finanziari al servizio della “causa”, finanziando partiti politici, industriali e giornali di destra. È proprio tramite Gelli che Calvi assumerà il controllo occulto del giornale “Il Corriere della Sera”, messo al servizio della “strategia di tensione” che mirava ad allontanare la sinistra italiana dal potere.
Il terzo uomo è l’arcivescovo Paul Marcinkus. Membro della loggia P2, fu nominato da Paolo VI capo delloIOR, l’Istituto per le opere religiose, la “banca del Vaticano” incaricata della gestione dei conti degli ordini religiosi e delle associazioni cattoliche. Sotto la sua direzione e con la benedizione del Papa, ansioso di dotare il Vaticano di mezzi finanziari all’altezza delle sue ambizioni, Marcinkus intraprese la trasformazione dello IOR in una struttura di gestione di attivi e di attività e partecipazioni in Italia e nel mondo. In questa missione, egli beneficiò dell’appoggio di Sindona che lo aiutò a sbarazzarsi di investimenti poco redditizi. È sempre attraverso Sindona che fu messo in contatto con Calvi. Alla ricerca di investimenti riservati e fruttuosi, lo IOR divenne molto rapidamente uno dei principali partners dell’Ambrosiano, poi il suo primo azionista. In cambio dell’appoggio finanziario dello IOR, l’istituzione di Roberto Calvi finanziò, tra l’altro, il sindacato polacco Solidarnosc e la guerriglia dei Contras in Nicaragua.
Il quartetto Calvi, Gelli, Sindona, Marcinkus durante tutti gli anni ’70 operò vasti trasferimenti di fondi tra l’Italia e i paradisi fiscali. Tra le altre operazioni, trasformarono lo IOR in un crocevia internazionale di operazioni illecite che spaziavano dal riciclaggio di denaro sporco di provenienza mafiosa all’evasione fiscale e all’esportazione di capitali all’estero, fino alla raccolta e alla distribuzione di tangenti a favore del mondo politico. Tuttavia all’inizio degli anni ’80, la gestione rischiosa e solitaria di Calvi, la cui banca aveva concesso ingenti prestiti alle sue filiali offshore per effettuare investimenti in gran parte segreti, iniziò seriamente ad incuriosire la giustizia italiana. Ironia della sorte, fu Sindona, furioso per non aver beneficiato dell’appoggio finanziario di Calvi durante uno scandalo scoppiato negli Stati Uniti, a mettere in moto il meccanismo che finirà con l’esplosione dell’Ambrosiano. Nel 1977, il finanziere siciliano orchestrò in effetti una campagna d’affissione notturna nelle vie di Milano denunciando le manovre di Calvi e i dirottamenti da lui operati. Il meccanismo di distruzione era stato messo in moto e in cinque anni il sistema crollò.
In questo periodo (quello descritto dal film), rintanato nel suo ufficio o nella sua villa, Calvi cercò di parare i colpi. All’inizio ci riuscì, facendo forse da mandante nell’assassinio del magistrato incaricato del dossier e riuscendo a bloccare un’inchiesta della Banca centrale. Però nel 1980, in seguito a una lunga ispezione della Banca d’Italia all'Ambrosiano, Calvi venne inquisito per sospetta esportazione di valuta e si vide ritirare il passaporto. Alla disperata ricerca di denaro, si avvitò in rischiose operazioni di riciclaggio di denaro sporco. Il 20 maggio 1981 Calvi venne arrestato per esportazione illecita di capitali e rinchiuso nel carcere di Lodi. Contro il provvedimento della procura protestarono in Parlamento il segretario del Psi Bettino Craxi e della Dc Flaminio Piccoli. Processato in luglio insieme ad altri amministratori dell’Ambrosiano e della Centrale,Calvi fu condannato a quattro anni. Dal carcere lanciò messaggi criptici che suonarono come ricatti, emblematico il suo “Questo processo si chiama IOR”. Il 20 luglio ottenne la libertà provvisoria. Ma “la vicenda della Banca d’Italia” non era che la punta dell’iceberg. A partire dal 1981, la morsa si strinse. Abbandonato dai suoi amici politici, privato dell’appoggio di Sindona, arrestato negli Stati Uniti nel 1979 per frode e complicità in assassinio, abbandonato anche da Marcinkus (protetto ora da Giovanni Paolo II) che rifiutava di prestare ogni aiuto finanziario all’Ambrosiano, Calvi assiste, impotente, all’affondamento del suo impero. Tra l’altro in quel periodo in Vaticano si fronteggiavano aspramente due fazioni politiche contrapposte: una, massonica-moderata che faceva capo ai cardinali Casaroli, Samorè, Silvestrini e Pio Laghi, e l’altra, integralista, legata all’Opus Dei che faceva capo a Marcinkus, a Mons. Virgilio Levi, vice direttore dell’”Osservatorio Romano”, e Mons. Luigi Cheli, Nunzio pontificio presso l’ONU. Il 5 giugno 1982 Calvi scrisse una lettera a Giovanni Paolo IInella quale afferma di essersi preso carico “del pesante fardello degli errori e delle colpe commesse dai rappresentanti attuali e passati dello IOR”. Poi la fuga e la morte sotto un ponte del Tamigi. Lasciò un buco di 1,4 miliardi di dollari nel banco Ambrosiano e di 250 milioni di dollari nelle casse dello IOR. Vicino ad un’impalcatura sotto il ponte di Blackfriars, si chiuse il più grande scandalo finanziario della Storia d’Italia. Una vicenda che è lontana dall’averci rivelato tutti i suoi segreti. Suicidio di un uomo logorato e braccato? O assassinio? Molto presto si delineò l’idea che Roberto Calvi fu in realtà liquidato per impedirgli di parlare. Ma da chi? Dal Vaticano, legato al banchiere da legami tanto sulfurei quanto oscuri? Dalla Mafia, di cui il banco Ambrosiano gestiva i fondi? Dalla loggia P2, questo vero e proprio Stato nello Stato e di cui il defunto conosceva quasi tutti i segreti? Dai servizi segreti italiani? Nell'ottobre 2005 la giustizia ha riconosciuto che Calvi è stato assassinato, probabilmente attraverso un accordo con la Mafia, “per impedire un potere ricattatorio verso i referenti politico-istituzionali della massoneria, della loggia P2 e dello IOR di cui aveva gestito alcuni investimenti”. Cinque persone sono state accusate tra cui un ex-cassiere della Mafia. Una vera e propria coalizione d’interessi oscuri destinati a far tacere un uomo divenuto all'improvviso pericoloso.
Quella di Calvi fu solo l’ennesima morte di un lungo periodo buio della storia italiana che facciamo ancora fatica a nominare e ricostruire, la storia degli affari illeciti in cui agivano finanza laica e cattolica, politica, massoneria, servizi segreti deviati, mafia e altre organizzazioni criminali e dove nessuno rimase illeso, nemmeno il Vaticano. A Ferrara il merito di aver girato un film su una storia che aveva interessato già Gianmaria Volontè e Francis Ford Coppola , un film più volte bloccato per i mancati finanziamenti, una storia che ancora oggi deve essere tenuta sopita. Ogni episodio del film quindi ripercorre fedelmente fatti e situazioni realmente avvenuti, tra cui i momenti di vita privata del Papa Giovanni Paolo II, che “non viene mostrato mai in volto per rispetto”, come recita una didascalia iniziale, parecchie scene sono accompagnate da sottotitoli che riportano fedelmente alcuni passi delle ordinanze di custodia cautelare, dimostrazione di serietà e obiettività con cui l’autore ha voluto fare cronaca su una vicenda estremamente delicata. Come detto nell’aprile 2002 “I banchieri di Dio” fu messo sotto sequestro su denuncia di Flavio Carboni, il faccendiere interpretato magistralmente nel film da Giancarlo Giannini, introdotto negli ambienti della politica, del vaticano, della mafia, della banda della magliana, uno dei cinque accusati della morte di Calvi e balzato di nuovo agli onori della cronaca nel 2010 per le inchieste sulla P3. Il film dopo il sequestro è stato riconosciuto d’interesse culturale nazionale dalla Direzione Generale per il Cinema del Ministero per i Beni e le Attività Culturali italiano.
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" Rubai in banca le carte di Calvi " Viccei Valerio, il rapinatore neofascista che partecipo' alla rapina del 1987 al deposito di Knight Bridge, avrebbe rivelato al settimanale inglese " the mail on Sunday " che due delle cassette di sicurezza svuotate contenevano documenti appartenenti a Calvi Roberto e Di Carlo Francesco. interrogati anche gli altri appartenenti alla banda
LONDRA
All' indomani delle dichiarazioni della vedova Calvi, esule in Canada, a proposito dell' inchiesta sul "conto Protezione", dalla Gran Bretagna giungono nuovi elementi che potrebbero arricchire il fascicolo giudiziario sulla morte del presidente del Banco Ambrosiano, che fu trovato impiccato sotto il ponte di Blackfriars il 18 giugno 1982. Dei mille segreti che Roberto Calvi, il "banchiere di Dio", aveva lasciato dietro di se' , uno venne scoperto cinque anni dopo la sua morte, ma solo qualche settimana fa se ne e' avuta notizia. Tra le cassette di sicurezza svuotate durante la rapina miliardaria del 1987 al deposito di Knight Bridge, a Londra, ce ne era una che, forse, conteneva documenti appartenenti allo scomparso finanziere. Lo avrebbe rivelato a un investigatore di Scotland Yard Valerio Viccei, il rapinatore neofascista che partecipo' al celebre colpo e che ora sta scontando in Italia i 35 anni di prigione inflittigli dalla magistratura inglese. La notizia e' riportata dal settimanale popolare britannico The Mail on Sunday. Le presunte "rivelazioni di Viccei" sarebbero state prese tanto sul serio dagli inquirenti che due magistrati romani si sarebbero recati la scorsa settimana a Londra per interrogare gli altri appartenenti alla banda detenuti in Inghilterra, tra cui lo stesso direttore della banca rapinata, allora arrestato perche' ritenuto complice del colpo che frutto' un bottino da 60 miliardi di lire in denaro e preziosi. Gli inquirenti, scrive il settimanale, ritengono che i documenti siano stati nascosti dallo stesso Viccei e ora vogliono sapere dove. Inoltre, da un' altra cassetta la banda avrebbe portato via documenti appartenenti a Francesco Di Carlo, un italiano in odore di mafia che sta scontando 25 anni di prigione in Gran Bretagna per traffico di stupefacenti. Stando a The Mail on Sunday, la polizia italiana sarebbe ora convinta che l' ordine di uccidere Calvi sia stato dato dalla mafia e che l' omicidio sia stato compiuto da elementi mafiosi con base in Gran Bretagna. Un altro protagonista del caso Knight Bridge, l' antiquario marchigiano Agostino Vallorani, potrebbe contribuire a risolvere il nuovo giallo. Arrestato poco meno di due mesi fa a Roma, Vallorani e' infatti sospettato di aver ricettato la refurtiva del colpo alla banca inglese. A lui sono giunti gli uomini della Direzione investigativa antimafia: la loro convinzione e' che fosse stato lo stesso antiquario a commissionare il grande colpo nel corso del quale i rapinatori, vestiti in giacca e cravatta, si impossessarono anche di un diamante da un milione di sterline. Non solo. Vallorani e' sospettato di essere al centro di numerosi traffici finanziari nella capitale britannica. A lui, infine, la vicenda Calvi si ricollega anche per il caso Agelli: Sergio Vaccari Agelli, conoscente di Vallorani e come lui antiquario italiano trapiantato a Londra, venne assassinato nella metropoli inglese solo tre mesi dopo Roberto Calvi. Gli inquirenti ritengono la sua morte legata a quella del presidente del vecchio Banco Ambrosiano.
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Antiquario italiano nel colpo da miliardi Vallorani Agostino, noto antiquario marchigiano, e' accusato di aver ricettato la refurtiva del colpo che frutto' circa 60 miliardi di lire in oro e preziosi. nessi con l' inchiesta sulla morte di Calvi Roberto
La rapina ' 87 di Knight Bridge
ROMA
Un noto antiquario marchigiano, Agostino Vallorani, e' stato arrestato nella capitale dagli uomini del centro operativo della Direzione investigativa antimafia per aver ricettato la refurtiva rubata nel 1987 a Londra nella clamorosa rapina di Knight Bridge, che frutto' circa 60 miliardi di lire in preziosi e denaro. Gli investigatori sospettano anche che sia stato proprio Vallorani a commissionare il furto o che perlomeno i rapinatori abbiano concordato con lui la "ricettazione" prima del colpo per il quale due anni fa Scotland Yard arresto' il neofascista Valerio Viccei poi estradato in Italia. L' arresto di Vallorani e' stato convalidato da Andrea Vardaro, il sostituto procuratore di Roma, che insieme alla collega Elisabetta Cesqui e' titolare dell' inchiesta per l' omicidio del banchiere Roberto Calvi. L' operazione e' stata definita dagli stessi investigatori "delicata", anche perche' Vallorani e' sospettato di essere un uomo chiave di traffici finanziari nella capitale inglese. Vallorani era anche conoscente di Sergio Vaccari Agelli, un altro antiquario italiano trapiantato a Londra, ucciso il 16 settembre ' 82 e la cui morte, secondo gli inquirenti, deve essere ricollegata alla impiccaggione del presidente del vecchio Banco Ambrosiano e alla scomparsa di Jeanette May, ex baronessa Rothschild. Vallorani, che in alcune interviste a quotidiani londinesi in passato ha sempre ribadito la sua estraneita' a eventi misteriosi, potrebbe tuttavia essere un testimone importante sugli intrecci d' affari e le contiguita' che per decenni a Londra si sono consolidati intorno alla comunita' italiana. Furono 126 le cassette svuotate nel corso della rapina dai banditi in "giacca e cravatta" che si introdussero nel deposito munito di meccanismi di sicurezza ultrasofisticati con sensori termici e sonori, allarmi a raggi infrarossi, vetri a prova di proiettile e pareti blindate di sessanta centimetri di spessore. Per eluderli e penetrare nella camera blindata usarono una tecnica semplicissima: quella di entrare dall' ingresso principale, con tanto di valigetta 24 ore, con la scusa di voler affittare alcune cassette di sicurezza. Una volta dentro la camera blindata, in una zona non controllata dalle telecamere, disattivate comunque in un secondo momento insieme ai circuiti d' allarme, i due "gentlemen" estrassero dalle 24 ore una pistola e un fucile a canne mozze, immobilizzando il direttore Parvez Latif e due guardie di sicurezza. Dopo, con un comune walkie talkie sussurando la frase "zero, zero, via libera", fecero entrare altri complici. La banda rimase nel Knight Bridge circa un' ora e tra i preziosi che portarono via, appartenenti a grandi nomi dell' aristocrazia londinese, a uomini d' affari e sceicchi arabi, c' era anche un diamante valutato oltre un milione di sterline, circa due miliardi di lire. Un tocco di humour tipicamente inglese che sottolineo' il clamoroso colpo fu il ritrovamento di una videocassetta lasciata nel deposito dai rapinatori: era quella del film "Come sposare un milionario". Le indagini degli investigatori di Scotland Yard portarono all' arresto, un mese dopo la rapina, con l' accusa di complicita' , di Parvez Latif. Il suo racconto non convinse la polizia londinese che rilevo' diverse contraddizioni nella versione fornita dal direttore del deposito blindato. M. A. C.
Per saperne di piu
Valerio Viccei (se non si dovesse vedere aggiorna la pagina) - Vedi il giornale qui qui e qui
Calvi Roberto - Vedi il giornale qui qui e qui
Gianni Nardi - Vedi il giornale qui qui e qui
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Gianni Nardi - Vedi il giornale qui qui e qui
Il paese Campos ed il cimitero in basso dove si trova Gianni Nardi.
English
Italy in a Furor as 'Mata Hari' Talks of Military Plot
By ALAN COWELL,
Published: October 19, 1993
After months of scandal involving politicians and business executives, Italy has found a new and riveting focus of interest and intrigue -- a glamorous 34-year-old woman known as the "Mata Hari of Udine" who is telling tales of conspiracy in the army and the secret services.
For days the woman, Donatella Di Rosa, has appeared in just about every television news bulletin, magazine and newspaper explaining her allegation that top army personnel planned a coup to free Italy from organized crime, narcotics and corruption.
The story has emerged as two major investigations have suggested that the security services persistently maintained clandestine ties with crime gangs. The allegations charge that the military used gangs in one case to penetrate the Red Brigades terrorists in the 1970's, and in the other to set up a phony plot to bomb an express train last month so the military could take credit for uncovering it.
Such is the national furor over the allegations that President Oscar Luigi Scalfaro summoned leaders of the Government, the police, the army and the secret services to a meeting tonight at the Quirinale Palace. Restoring Public Confidence
The gathering reflected official worries that, as Italy edges toward political change, it is colliding with resistance from a dangerous, clandestine alliance of intelligence personnel and organized crime as pervasive as the political corruption network that has implicated over 3,000 executives and politicians since February 1992.
Thus the meeting is intended in part to restore public confidence in the discredited security services and may well lead to a further purge of them.
Mrs. Di Rosa is an avowed extreme rightist who lives in Udine (pronounced OO-dee-nay), in northeastern Italy, near the border of Slovenia. She began making her allegations last month when, she said, Gen. Franco Monticone, commander of the army's rapid-intervention unit, broke off a tormented 10-month affair with her. General Monticone later accused her and her husband of tricking him into giving her $460,000.
In court papers and endless interviews, Mrs. Di Rosa has said she was present when General Monticone and other generals plotted the supposed coup, arranged the stockpiling of weapons and even took part in the planning of the bombing of the Uffizi gallery in Florence in May.
Even though many Italians seem to accept the general's assertion that the whole thing is no more than a soap opera, Defense Minister Fabio Fabbri suspended the general for "grave errors and intolerable lapses in behavior." Senior Agent Arrested
He is not the only victim of the recent disclosures. On Saturday, authorities in Genoa arrested Augusto Citanna, a senior agent in the civilian intelligence service, the Servizi per l'Informazione e la Sicurezza Democratica, or Sisde.
Mr. Citanna and two members of the Neapolitan crime gang, the Camorra, were accused of transporting explosives after the discovery of an unfused bomb on a Palermo-Turin overnight train last month. Apparently Mr. Citanna had expected to keep his distance from the two members of the Camorra so he could get credit for finding the bomb.
Authorities are investigating a third allegation that Francesco Delfino, a general in the Carabinieri, the national police, maintained contacts with the Calabrian crime gang, 'Ndrangheta, and infiltrated a mobster into the Red Brigades left-wing terrorist organization at the time of the kidnapping of former Prime Minister Aldo Moro in 1978.
This is a country whose modern history is littered with unsolved mysteries, ranging from the Moro kidnapping and his murder, to the doings of the masonic lodge known as Propaganda-2, to the collapse of the Vatican bank in 1982.
Often, newspapers, informers and politicians draw what seem obscure links in the various conspiracies between the same nefarious units of the military, the secret services and organized crime. Indeed, Bruno Contrada, a top civilian intelligence agent responsible for tracking down organized crime, was arrested last year and accused of associating with the Mafia.
To an outsider the tangles evoke one of Italy's favorite pursuits: the near-science known as dietrologia -- the quest for what lies behind the surface of events, based on the belief that nothing can ever be what it seems to be.
The latest disclosures, however, have deepened a profound unease about Italy's secret services after this year's bombings in Rome, Florence, Catania and Milan and the discovery of widespread corruption in the civilian intelligence service.
After bombings in Milan and Rome in July, Angelo Finocchiaro, head of the civilian intelligence, was dismissed for incompetence. Last week, the authorities said hundreds of civilian and military intelligence operatives would be dismissed by the end of the year.
Donatella De Rosa explaining at a news conference last week in Udine, Italy, her allegation that top army personnel planned a coup to free Italy from organized crime, narcotics and corruption. (NY-Times)
Italy in a Furor as 'Mata Hari' Talks of Military Plot
By ALAN COWELL,
Published: October 19, 1993
After months of scandal involving politicians and business executives, Italy has found a new and riveting focus of interest and intrigue -- a glamorous 34-year-old woman known as the "Mata Hari of Udine" who is telling tales of conspiracy in the army and the secret services.
For days the woman, Donatella Di Rosa, has appeared in just about every television news bulletin, magazine and newspaper explaining her allegation that top army personnel planned a coup to free Italy from organized crime, narcotics and corruption.
The story has emerged as two major investigations have suggested that the security services persistently maintained clandestine ties with crime gangs. The allegations charge that the military used gangs in one case to penetrate the Red Brigades terrorists in the 1970's, and in the other to set up a phony plot to bomb an express train last month so the military could take credit for uncovering it.
Such is the national furor over the allegations that President Oscar Luigi Scalfaro summoned leaders of the Government, the police, the army and the secret services to a meeting tonight at the Quirinale Palace. Restoring Public Confidence
The gathering reflected official worries that, as Italy edges toward political change, it is colliding with resistance from a dangerous, clandestine alliance of intelligence personnel and organized crime as pervasive as the political corruption network that has implicated over 3,000 executives and politicians since February 1992.
Thus the meeting is intended in part to restore public confidence in the discredited security services and may well lead to a further purge of them.
Mrs. Di Rosa is an avowed extreme rightist who lives in Udine (pronounced OO-dee-nay), in northeastern Italy, near the border of Slovenia. She began making her allegations last month when, she said, Gen. Franco Monticone, commander of the army's rapid-intervention unit, broke off a tormented 10-month affair with her. General Monticone later accused her and her husband of tricking him into giving her $460,000.
In court papers and endless interviews, Mrs. Di Rosa has said she was present when General Monticone and other generals plotted the supposed coup, arranged the stockpiling of weapons and even took part in the planning of the bombing of the Uffizi gallery in Florence in May.
Even though many Italians seem to accept the general's assertion that the whole thing is no more than a soap opera, Defense Minister Fabio Fabbri suspended the general for "grave errors and intolerable lapses in behavior." Senior Agent Arrested
He is not the only victim of the recent disclosures. On Saturday, authorities in Genoa arrested Augusto Citanna, a senior agent in the civilian intelligence service, the Servizi per l'Informazione e la Sicurezza Democratica, or Sisde.
Mr. Citanna and two members of the Neapolitan crime gang, the Camorra, were accused of transporting explosives after the discovery of an unfused bomb on a Palermo-Turin overnight train last month. Apparently Mr. Citanna had expected to keep his distance from the two members of the Camorra so he could get credit for finding the bomb.
Authorities are investigating a third allegation that Francesco Delfino, a general in the Carabinieri, the national police, maintained contacts with the Calabrian crime gang, 'Ndrangheta, and infiltrated a mobster into the Red Brigades left-wing terrorist organization at the time of the kidnapping of former Prime Minister Aldo Moro in 1978.
This is a country whose modern history is littered with unsolved mysteries, ranging from the Moro kidnapping and his murder, to the doings of the masonic lodge known as Propaganda-2, to the collapse of the Vatican bank in 1982.
Often, newspapers, informers and politicians draw what seem obscure links in the various conspiracies between the same nefarious units of the military, the secret services and organized crime. Indeed, Bruno Contrada, a top civilian intelligence agent responsible for tracking down organized crime, was arrested last year and accused of associating with the Mafia.
To an outsider the tangles evoke one of Italy's favorite pursuits: the near-science known as dietrologia -- the quest for what lies behind the surface of events, based on the belief that nothing can ever be what it seems to be.
The latest disclosures, however, have deepened a profound unease about Italy's secret services after this year's bombings in Rome, Florence, Catania and Milan and the discovery of widespread corruption in the civilian intelligence service.
After bombings in Milan and Rome in July, Angelo Finocchiaro, head of the civilian intelligence, was dismissed for incompetence. Last week, the authorities said hundreds of civilian and military intelligence operatives would be dismissed by the end of the year.
Donatella De Rosa explaining at a news conference last week in Udine, Italy, her allegation that top army personnel planned a coup to free Italy from organized crime, narcotics and corruption. (NY-Times)